16 La responsabilità civile degli enti ospedalieri

La responsabilità dell'ente ospedaliero per colpa dei sanitari. Verso l'individuazione della prestazione di <<assistenza sanitaria>>

Ritengo vi siano due profili distinti, seppur intimamente connessi, da esaminare per addivenire ad un possibile inquadramento della prestazione posta in essere dall'ente ospedaliero.

Sotto il primo profilo sorge l'esigenza di descrivere i contorni della prestazione erogata dall'ente ospedaliero pubblico ai pazienti che vi si rivolgano. 

Con riguardo al secondo, è d'uopo inquadrare il rapporto tra medico dipendente e struttura ospedaliera, al fine di stabilire secondo quali meccanismi, in punto di responsabilità, sia possibile ricondurre sul secondo le condotte dannose del primo.

Veniamo ad analizzare il primo dei due profili ai quali si è fatto poc'anzi accenno.

Una prima ipotesi sistematica, va nel senso di individuare un contratto d'opera professionale, disciplinato analogicamente alle regole stabilite per il professionista che eserciti autonomamente e alle conseguenti regole in materia di responsabilità contrattuale già descritte. Infatti si è in precedenza rilevato come la giurisprudenza della Corte di Cassazione abbia in più occasioni sostenuto che la similarità della prestazione che l'ente ospedaliero si impegna a porre in essere, quando il paziente si reca presso la struttura, con quella del prestatore d'opera, sia tale da giustificare l'attrazione del rapporto, quanto alla sua disciplina, nell'orbita del contratto d'opera professionale[1].

Conseguentemente si sostiene anche l'applicazione dell'art. 2236 cod. civ., nell'interpretazione giurisprudenziale che lo caratterizza. Appare tuttavia doveroso segnalare che sussistono sul punto voci di dissenso[2] che segnalano l'esistenza di una forzatura nell'applicare analogicamente, anche alla responsabilità dell'ente ospedaliero, una regola giurisprudenziale elaborata <<su misura>> per il prestatore d'opera.  A tale critica sembra tuttavia lecito rispondere che l'applicazione della regola dell'art. 2236 cod. civ., data la sua genesi e il suo significato e stante l'asserita applicabilità analogica delle norme sulla responsabilità del professionista, appare accettabile, anche in termini di unità e coerenza sistematiche. Non si vede come possa giustificarsi, se si accetta ben inteso l'applicazione analogica suddetta, una disparità di trattamento condizionata dalla circostanza che la prestazione sia posta in essere dal medico dipendente piuttosto che dal professionista autonomo.

Lo sforzo argomentativo è probabilmente indirizzato più correttamente se concentrato semmai nell'individuazione della prestazione atipica e complessa che l'ente ospedaliero, per il tramite dei suoi dipendenti e della sua complessa struttura, offre a coloro che la richiedono, come si dirà tra breve.

Infatti, la tesi più sopra rappresentata, non è, come anticipato in apertura, l'unica strada per descrivere correttamente il quadro: alcuni autori[3] sostengono, con l'avallo di certa giurisprudenza[4], che al contrario sarebbe preferibile configurare autonomamente la responsabilità delle strutture sanitarie, come fattispecie complessa comprensiva certo anche della prestazione intellettuale dei sanitari che vi prestano la loro opera, ma caratterizzata altresì da altre competenze, così come dalla circostanza di essere espressione di un particolare apparato organizzativo, e che potrebbe definirsi <<prestazione di assistenza sanitaria>>, ovvero <<contratto di spedalità>>[5].

La peculiarità di tale forma di contratto atipico consisterebbe altresì nella presenza di una serie di obblighi integrativi individuabili ex lege ovvero ex contractu.

In questo senso la giurisprudenza[6] ha riconosciuto la responsabilità della struttura ora per mancanza di sicurezza delle attrezzature[7], ora per mancata protezione della salute dei ricoverati[8], quindi per difetto di protezione della salute dei terzi[9], per omessa custodia degli assisti-

 

ti[10], in ipotesi di danni anonimi[11], infine per omessa adeguata informazione[12].

Questa seconda ipotesi sembra più aderente alla realtà, osservando la quale emergono alcuni dati di fatto dai quali non sembra corretto prescindere. L'ente ospedaliero si presenta come una struttura complessa, caratterizzata certo dalla presenza al suo interno di medici dipendenti e di altri operatori in senso lato sanitari, ma anche dalla consistenza di una struttura organizzativa e amministrativa particolare, nonché dalla predisposizione di un apparato strumentale di rilievo. Non può mancare un ulteriore considerazione, ovverosia quella stimolata dalla c.d. spersonalizzazione della prestazione sanitaria all'interno della struttura. Invero il paziente non si rivolge direttamente all'uno o all'altro specialista, ma si rivolge alla struttura, che di volta in volta, in ossequio alle sue esigenze organizzative, indirizza il paziente verso lo specialista che in concreto è possibile individuare.

Ciò non di meno la prestazione, che lo specialista in concreto attivato presta, è sempre e comunque una prestazione d'opera assimilabile a quella del medico autonomo, e sembra corretto mantenerne perciò stesso fermi i principi di valutazione in punto di diligenza.

Pertanto individuare la prestazione dell'ente come prestazione complessa, che nei rapporti che ci interessano assume la forma di un contratto atipico come è stato ricordato in precedenza, pare essere l'ipotesi interpretativa sulla scorta della quale esaminare la materia.

Quanto alla configurazione dei rapporti tra Unità sanitaria locale (ormai A.s.l.) e medici dipendenti, in punto di riferibilità alla prima dei comportamenti dannosi posti in essere dai secondi, è il caso di rilevare[13] la possibilità di configurare in modo triplice il rapporto che si instaura tra paziente ed ente ospedaliero.

Le ipotesi interpretative vanno dall'inquadramento, in materia di responsabilità contrattuale, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ., nella disciplina della responsabilità per fatto degli ausiliari, a quello, in materia di responsabilità aquiliana, nella disciplina della responsabilità dei padroni e dei committenti, ai sensi dell'art. 2049 cod. civ., per arrivare all'affermazione della responsabilità diretta nel segno della c.d. immedesimazione organica[14] dell'ente, gestore di un servizio pubblico sanitario, con i suoi dipendenti. Quest'ultima posizione trova maggiori consensi in giurisprudenza, conoscendo articolate applicazioni ad opera della Suprema Corte di Cassazione[15].

Su tali basi si afferma pertanto la concorrenza della responsabilità dell'ente con quella dei medici suoi dipendenti, nelle forme che si sono illustrate brevemente in precedenza.

            La prospettiva muta solo parzialmente se si passi ad analizzare il tema nei confronti della struttura privata. Infatti in tale evenienza la responsabilità del sanitario non è mai diretta[16], come accade se si accoglie il principio della c.d. immedesimazione organica propugnato da certa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, ma da valutarsi come di consueto, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ., sotto il profilo della responsabilità contrattuale, nonché, ai sensi dell'art. 2049 cod. civ.,  sotto quello della responsabilità extracontrattuale.

 

Avv. Nicola Todeschini
www.studiolegaletodeschini.it
membro dello Studio Legale Consumerlaw

 


Note:

[1] Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1979 n. 1716: <<L'accettazione  del  paziente  nell'ospedale, ai  fini  del  ricovero  oppure di  una visita  ambulatoriale, comporta  la conclusione di un contratto d'opera professionale tra  il paziente e l'ente  ospedaliero,  il quale assume a proprio carico, nei confronti del  paziente, l'obbligazione di svolgere l'attività diagnostica e  la conseguente attività terapeutica in relazione alla  specifica situazione del paziente preso in  cura. Poiché a questo rapporto contrattuale non  partecipa il medico dipendente, che provvede allo svolgimento dell'attività' diagnostica  e della conseguente attività terapeutica, quale  organo dell'Ente ospedaliero,  la responsabilità'  del predetto  sanitario verso il  paziente per il danno  cagionato da  un suo errore diagnostico o terapeutico è soltanto extracontrattuale, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno spettante al paziente nei confronti del medico si prescrive nel termine quinquennale stabilito dal comma 1 dell'art.  2947 c.c.>> Cirielli c. Bisaro e altro, in Giust. civ. Mass., 1979, fasc. 3; in Giust. civ., 1979, 1440, I; in Resp. civ. e prev., 1980, 90; in Riv. it. medicina legale, 1981, 880.

Nello stesso senso cfr. Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 1978 n. 6141: <<La responsabilita' di  un Ente  ospedaliero per i  danni causati  a un  paziente  dalle prestazioni  mediche  dei sanitari  dipendenti e' di natura contrattuale, poiche'  l'Ente,  obbligandosi ad eseguire le prestazioni, ha concluso col paziente uncontratto d'opera intellettuale. Pertanto, nel settore chirurgico, quando l'intervento operatorio  non   sia  di  difficile esecuzione ed il risultato conseguitone sia peggiorativo delle condizioni finali  del paziente, il cliente  adempie l'onere a suo carico provando che l'intervento  operatorio  era  di facile esecuzione e che ne e' conseguito un risultato  peggiorativo,  dovendosi presumere l'inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale  del chirurgo; spetta, poi, all'Ente ospedaliero fornire la prova contraria, cioe' che  la prestazione  professionale era  stata eseguita idoneamente e l'esito peggiorativo era stato causato dal sopravvenire di un evento imprevisto ed imprevedibile oppure dall'esistenza di una particolare condizione fisica del cliente non accertabile con  il criterio della ordinaria diligenza professionale>>. Rainone c. Ospedale San Gennaro, in Arch. civ., 1979, 335.

[2] R. DE MATTEIS, op. cit., 295.

[3] Ibidem, 294 e segg.

[4] E' il caso della già citata sen. Cass. civ., III sez., 22 novembre 1993, n. 11503, in Giur. it., 1, I, 321. 

[5] M. BILANCETTI, op. cit., 312 e segg.

[6] La casistica che segue è tratta dal testo citato nella nota 164.

[7] App. Napoli del 14/09/1979, La Rocca, Siemens-Gorla-Siama S.p.A. c. Università degli studi di Napoli.

[8] Trib. Casale di Monferrato, 06/07/1966, in Resp. civ. e prev., 1968, 622. Secondo i giudici del predetto tribunale, la casa di cura privata contrae con il paziente un contratto d'opera intellettuale, assumendo non solo l'obbligazione principale di curarlo con la diligenza necessaria, ma anche una serie di <<obbligazioni accessorie e complementari che si accompagnano e confluiscono nell'obbligazione principale, e che sinteticamente si esprimono nel concetto di obbligo di adottare tutte le cautele necessarie e sufficienti a tutelate l'incolumità del malato>>.

[9] Si vedano sul punto le considerazioni già svolte nel paragrafo relativo ai rapporti tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ed ai tentativi di superamento, nonché in particolare nelle note. Il riferimento, brevemente richiamato è alla configurazione del c.d. <<contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi>>. Si legga anche A. PINORI, Contratto con effetti protettivi a favore del terzo e diritto di nascere sano, in Giur. it., 1995, 1, I, 321. Nota a margine della sen. Cass. civ., III sez., 22 novembre 1993, n. 11503.

Per le connessioni con il tema dei rapporti tra azione contrattuale ed extracontrattuale, si legga il paragrafo "Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: distinzioni e tentativi di superamento".

[10] Tra le altre si veda Cass. civ., sez. III, 4 agosto 1987 n. 6707: <<La  tutela della  salute,  che rientra  tra  i compiti istituzionali primari degli enti ospedalieri, in  relazione alle persone di minorata o nulla autotutela  (nella  specie, neonato),  non si esaurisce nella mera prestazione  delle  cure  medico-chirurgiche generali  o specialistiche,  ma comprende  anche la  protezione delle stesse persone;  pertanto, quando la mancata predisposizione di una organizzazione volta a sopperire a tale  compito abbia favorito il prodursi di un  danno (nella  specie, il  rapimento del  neonato dal nido ad opera  di ignoti), va affermata  la responsabilita' dell'ente ospedaliero per la violazione dei suoi obblighi istituzionali.>> USL n. 1 Ventimigliese c. Aste e altro, in Foro it., 1988, I, 1629 (nota).

[11] Ovverosia quando, come accade, dagli atti non risulti possibile individuare il medico che nella fattispecie sia intervenuto, trattandosi di prestazione ricevuta in una struttura ospedaliera. Trattasi di Corte appello Milano 12 dicembre 1980, Biraghi c. Istituto ortopedico Pini, in Arch. civ., 1981, 47. Nella sentenza in oggetto i giudici hanno affermato la responsabilità dell'Istituto ortopedico dove è stato operato il paziente che ha riportato un danno encefalico di gravissime proporzioni a causa di complicazioni insorte in sede anestesiologica.

[12] Cass. civ. sez. III, 8 luglio 1994, n. 6464: <<E' responsabile la  struttura  sanitaria per violazione del dovere di informativa  del paziente circa le conseguenze dell'intervento ed i suoi possibili esiti, stante che il dovere di informativa rientra tra quelli  del medico  (ed  a  maggior ragione  nel caso di interruzione  volontaria  della  gravidanza ai sensi dell'art. 14 l. 22 maggio 1978 n. 194, essendo l'esito negativo dell'intervento un evento prevedibile, dimostrato dal fatto che per aversi la  certezza dell'esito  favorevole e' necessario procedere all'esame istologico). Tale  dovere di informativa non viene meno per effetto della dimissione volontaria da parte del paziente.>> Usl n.  21 Padova c. Petix e altro, in Riv. it. medicina legale, 1995, 1282; in Rass. dir. civ., 1996, 342 nota (CARUSI).

[13] M. BILANCETTI, op. cit., 269.

[14] Su tutte si legga la fondamentale Cass. civ., sez. III, 1 marzo 1988 n. 2144: <<[…]La responsabilita' dell'ente pubblico gestore del servizio sanitario e' diretta, essendo riferibile all'ente, per il principio della immedesimazione organica, l'operato del medico suo dipendente, inserito nell'organizzazione del servizio, che con il suo operato, nell'esecuzione non diligente della prestazione sanitaria, ha causato danno al privato che ha richiesto ed usufruito del servizio pubblico. E, per l'art. 28 cost., accanto alla responsabilita' dell'ente esiste la responsabilita' del medico dipendente.  Responsabilita' che hanno entrambe radice nell'esecuzione non diligente della prestazione sanitaria da parte del medico dipendente, nell'ambito dell'organizzazione sanitaria. Pertanto, stante questa comune radice, la responsabilita' del medico dipendente e', come quella dell'ente pubblico, di tipo professionale; e vanno applicate a quella dell'ente pubblico, di tipo professionale; e vanno applicate anche ad essa, analogicamente, le norme che regolano la responsabilita' in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d'opera professionale. Ne discende che la responsabilita' del medico dipendente verso il privato danneggiato non ricade nella normativa di cui agli art. 22 e 23 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; la quale normativa riguarda, in applicazione dell'art. 28 cost., le ipotesi di danni arrecati a terzi (privati) dagli impiegati civili dello Stato per i comportamenti - attivi od omissivi - da essi tenuti nell'ambito dell'esercizio dei poteri pubblicistici che strutturano l'amministrazione pubblica quale attivita' concreta svolta dallo Stato o da altro ente pubblico per la realizzazione di interessi generali. […].>> Balestra c. Scanga, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc.3; in Foro it., 1988, I, 2296 (nota); in Nuova giur. civ. commen., 1988, I, 604 (nota).

In generale si veda: Cass. civ. sez. lav., 6 maggio 1991 n. 4951,  Sciascia e altro c. Ministero giustizia e altro, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 5.

[15] Sul punto si possono leggere le note relative al paragrafo sulla responsabilità del medico dipendente del servizio sanitario nazionale.

[16] In tema si veda M.BILANCETTI, op., cit., 307 e segg.