17 Omeopatia e responsabilità professionale: un'ipotesi di studio

Solo qualche breve osservazione su di un' ipotesi d'indagine che non mi risulta essere stata molto seguita, pur senza voler affrettare giudizi delicati.

Il problema di fondo dell'omeopatia sembra essere quello legato alla mancanza di risultati scientificamente apprezzabili delle terapie che i medici omeopatici possono predisporre.

L'art. 28 cod. dentol.[1] affronta, anche se non esplicitamente, quelle che la FNOMCeO definisce, nel suo commentario al codice deontologico del 1995, <<medicine o pratiche alternative. Rientrano in questo campo tutte quelle pratiche che pretendono di curare utilizzando metodologie diverse da quelle ufficiali verificate dalla sperimentazione della scienza medica[2]>>.

L'art. 82 cod. deontol.[3], sotto la rubrica "Pratiche alternative", affronta l'argomento consentendo l'accesso dei medici a tali pratiche sotto la loro responsabilità. Ritengo che il tema sia di non scarsa importanza se si vuol affrontare alla luce del rilievo che il consenso informato assume nell'odierno panorama della professione.

Se infatti l'informazione deve essere completa ed esauriente, nei limiti e nelle forme che si sono descritte nella sede opportuna, al medico che pratichi l'omeopatia, si pongono dei doveri di indiscutibile rilievo deontologico. Dato che l'accesso alle pratiche alternative è rimesso alla sua cosciente valutazione, nel segno della responsabilità professionale sin qui illustrata, è conseguenza immediata che la sua opera dovrà essere valutata, in punto di diligenza, secondo le regole generali descritte in precedenza.

Quindi la serietà del medico omeopata dovrà attivare in lui un'attenzione particolare, quando si troverà a consigliare al suo paziente un trattamento omeopatico, in quanto la sua informazione e l'esatta comprensione da parte del paziente stesso, dovranno essere tali da descrivere anche il riconoscimento scientificamente apprezzabile che tale pratica alternativa abbia -o non abbia- ricevuto dalla comunità scientifica, e ciò a prescindere dalle convinzioni personali -non pertanto ufficialmente enunciate- del professionista che a tale pratica aderisca.

L'omissione, che una indiligente informazione potrebbe concretare, costituirebbe già di per sé un rilievo in punto di responsabilità professionale.

Quid iuris a fronte del mancato miglioramento della patologia in atto, che normalmente il paziente avrebbe potuto conseguire se invece della pratica omeopatica gli fosse stata prescritta una terapia tradizionale ?

Potrebbe il professionista invocare l'applicazione dell'art. 2236 cod. civ. anche nel caso in cui abbia adottato una pratica alternativa ?

Quanto al primo dei due quesiti ritengo che sussisterebbe sia una violazione dei principi deontologici, che una conseguente responsabilità professionale, in primis per imprudenza. Imprudente infatti sarebbe la condotta del sanitario che, a fronte di una patologia che la scienza  medica  ritiene  trattabile  agevolmente con terapie tradizionali,  avesse  ciò  non  di  meno  consigliato  un trattamento alternativo

-omeopatico nel caso di specie- ottenendo o un aggravamento della patologia in atto, ovvero un decorso complicato e ben più lungo della stessa[4].

Quanto al secondo quesito, ritengo che la risposta data al primo sia illuminante anche in tale frangente. La rigorosa e condivisibile interpretazione giurisprudenziale dell'art. 2236 cod. civ., che ne nega l'applicazione nei casi di imprudenza ed incuria, troverebbe certo terreno fertile per una sua conferma anche in questo caso. Pertanto la responsabilità dovrebbe essere valutata, anche ricorrendo condizioni di speciale difficoltà, secondo i consueti canoni della culpa levis.

Queste brevi note, estendibili anche alle altre pratiche alternative, non vogliono certo essere un monito nei confronti di chi le adotti, bensì un modesto contributo, in sede di ipotesi interpretativa, su argomenti comunque molto delicati, di emersione relativamente nuova, nonché, sotto certi profili, di scottante attualità.

 

 Avv. Nicola Todeschini
www.studiolegaletodeschini.it
membro dello Studio Legale Consumerlaw

 
Note:

[1] Art. 28 cod. deontol.: <<Al medico è riconosciuta piena autonomia nella scelta, nell'applicazione e nella programmazione dell'iter dei presidi diagnostici e terapeutici, anche in regime di ricovero, fermi restando i principi della responsabilità professionale.

Ogni prescrizione e ogni trattamento devono essere comunque ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche, alla massima correttezza e all'osservanza del rapporto rischio-beneficio.

Il medico è tenuto ad una adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e delle prevedibili reazioni individuali nonché delle caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici che prescrive e utilizza.

Il ricorso a terapie nuove è riservato all'ambito della sperimentazione clinica e soggetto alla relativa disciplina.

Sono vietate l'adozione e la diffusione di terapie segrete, scientificamente infondate o non supportate da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, oppure atte a suscitare illusorie speranze.

Il ricorso a trattamenti con effetto "placebo" è consentito solo se ispirato a criteri dì beneficialità per il paziente.>>

[2] Commentario al cod. deontol. a cura della FNOMCeO, sub art. 82 cod. deontol.

[3] Art. 82 cod. deontol.: <<La potestà di scelta di terapie e di metodi innovativi o alternativi rispetto alle consolidate esperienze scientifiche si esprime nell'esclusivo ambito della diretta e non delegabile responsabilità professionale.

É vietato al medico di collaborare a qualsiasi titolo o favorire in qualsiasi modo chi, non medico, eserciti abusivamente anche nel settore delle cosiddette "pratiche alternative".

Il medico, venuto a conoscenza di casi di esercizio abusivo o di favoreggiamento o collaborazione anche nel settore delle pratiche di cui al precedente comma, è obbligato a denunciarli all'Ordine professionale.

[4] Sul caso teorico che affronto non ho rinvenuto precedenti interessanti. Addirittura il termine <<omeopatia>>, né la sua radice, sia nell'archivio su supporto ottico della Giuffrè relativo alle massime giurisprudenziale, che su quello della Utet relativo alle sentenze della Cassazione per esteso, non fornisce risultati alla ricerca.