19 Il caso del chirurgo estetico.
Le difficoltà connesse all'adattamento rigido della
distinzione tradizionale tra obbligazioni <<di mezzi>> e obbligazioni di
<<risultato>>, già affrontata, si avvertono forse con maggiore intensità
quando si pone attenzione alla particolare cura che la giurisprudenza ha riservato a
particolari ipotesi di responsabilità professionali sanitarie. Mi riferisco in
particolare alle prestazioni del chirurgo estetico e del dentista.
Quale che sia la scelta dell'interprete, tra le due
impostazioni sopra ricordate -conferma o superamento della distinzione tradizionale- le
prestazioni professionali del chirurgo estetico -ma anche del dentista- sono rivisitate,
soprattutto dalla giurisprudenza, nel senso della rottura con l'adesione alla categoria
delle obbligazioni <<di mezzi>>, rinvenendo al contrario un'obbligazione
<<di risultato>> a disciplina dell'attività professionale in oggetto.
Venendo ora alla disamina della prima delle due figure
professionali sanitarie, quella del chirurgo estetico, si è autorevolmente sottolineata[1] l'inutilità della
differenziazione, tra sanitari in genere e chirurghi estetici, sostenendosi che non
sarebbe più opportuna alla luce della rinnovata concezione della salute, intesa anche
nelle accezioni comprensive della soddisfazione psicologica derivante dall'accettazione
del proprio aspetto fisico. Invero, ad una
differenziazione di questo
genere si oppone anche una valutazione d'ordine medico
legale, sulla base della quale non appare corretto sostenere che, nella specialità in
esame, a fronte di una diligente prestazione del chirurgo, debbano conseguentemente
conseguirsi risultati estetici soddisfacenti, ben potendosi produrre risultati di segno
opposto, o comunque non soddisfacenti, legati a fattori fisiologici o patologici peculiari
al paziente, non sempre prevedibili.
Sarebbe pertanto eccessivamente penalizzante per il
chirurgo estetico valutare la sua responsabilità[2] secondo i canoni relativi alle obbligazioni <<di risultato>>, ben potendosi
semmai puntare
l'attenzione -coerentemente con quanto detto in punto di superamento della
distinzione in oggetto- sul diligente adempimento del dovere d'informazione del paziente,
gravante sul chirurgo estetico, come sugli altri sanitari, fondamentale anche in questa
specialità al fine di determinare le condizioni ideali per una partecipazione cosciente
del paziente e per la prestazione di un consenso all'intervento od alle terapie
altrettanto pieno e cosciente.
Sembra in effetti più corretto, spostare l'attenzione
dall'inquadramento tradizionale della prestazione in oggetto, vuoi nelle obbligazioni
<<di risultato>> vuoi in quelle <<di mezzi>>, ad un piano diverso
che privilegi la fase della definizione del contenuto della prestazione del chirurgo
estetico, data la delicatezza particolare che in questa specialità assume anche la
prestazione del consenso da parte del paziente.
E' il chiarimento del contenuto della prestazione[3], in sede contrattuale, da farsi per
iscritto, che formalizzerebbe, disegnandone i confini, ad un tempo e l'informazione sul
trattamento e i limiti di responsabilità del chirurgo che si impegni ad una determinata
opera.
La circostanza
che la peculiarità dell'intervento del chirurgo estetico sottende, legata soprattutto
alla finalità non meramente necessaria alla salute bensì tesa ad un miglioramento
estetico, ha fatto da più parti sostenere[4]
che il consenso informato dovrebbe, in questo caso, essere considerato in modo più
attento e rigoroso, comunque diverso[5].
Ma a questa posizione si oppone una considerazione di
non poco conto: discriminare la specialità in esame sostenendo la necessità di valutare
più rigorosamente la fase dell'informazione e della prestazione del consenso,
significherebbe introdurre, all'interno della scienza medica, una differenziazione che non
trova specifiche ragioni deontologiche per essere sostenuta. Come si potrebbe infatti
sostenere che un paziente che debba sottoporsi ad un intervento a cuore aperto abbia
diritto ad un'informazione meno accurata[6]
di quella alla quale avrebbe invece diritto il paziente che si sottoponesse ad una
plastica facciale ?
Ma l'elaborazione giurisprudenziale non si è fermata
a questo, creando, con non poche perplessità tra gli stessi giudici della Suprema Corte[7], un'ennesima differenziazione
all'interno della categoria delle prestazioni poste in essere dal chirurgo estetico, ossia
quella tra interventi di chirurgia estetica <<ordinari>>, ed interventi di
chirurgia estetica c.d. ricostruttivi[8]. Questi
ultimi sarebbero interventi riferibili a casi, come quello trattato dalla sentenza in
commento, nei quali sia stato il paziente stesso a procurarsi volontariamente alcune
alterazioni -nel caso di specie tatuaggi osceni e ripugnanti- per poi volerne conseguire
l'eliminazione. Di fronte a casi simili il contenuto dell'obbligo d'informazione sarebbe
diverso rispetto a quello richiesto, al contrario, nei casi di chirurgia estetica
<<ordinaria>>, dovendosi nel primo caso adempiere all'obbligo d'informazione
del paziente in modo meno rigoroso e limitato agli esiti eventuali che potrebbero rendere
vana l'operazione, e non dovendo il medico spingersi oltre nell'informazione diligente al
paziente.
Ebbene, a chi scrive questa conclusione sembra
inaccettabile, introducendo una distinzione tra pazienti di "categoria
superiore" e pazienti "di categoria inferiore" che dovrebbe consentire al
chirurgo una modulazione del proprio dovere d'informazione piena del paziente
assolutamente discrezionale, dando accesso di fatto ad un'alterazione del contenuto della
sua prestazione, che parrebbe ricollegato ad una valutazione del medico stesso sulla
identificazione del tipo d'intervento -ricostruttivo/non ricostruttivo- che non appare
fondata.
Sembra, in conclusione, che la strada intrapresa,
caratterizzata dalla rivisitazione[9] della
distinzione tradizionale tra prestazioni
<<di mezzo>> e prestazioni di <<risultato>> possa fornire fecondi
apporti anche nei settori che, in virtù di tale differenziazione, hanno subito
maggiormente le sue estremizzazioni, spostando piuttosto l'attenzione sulla corretta e
completa informazione del paziente e sulla prestazione cosciente del consenso al
trattamento al quale si deve sottoporre; su tali premesse si potrà definire a quale opus il
sanitario è chiamato e quali siano i confini di responsabilità che l'obbligazione che ha
assunto descrivono, senza fondare la qualità dell'informazione da fornire su differenti
categorie di prestazioni, dando seguito a bizantine distinzioni, piuttosto sottolineando
l'importanza di un'informazione sempre diligente quale contenuto indefettibile della
prestazione del sanitario.
www.studiolegaletodeschini.it
membro dello Studio Legale
Consumerlaw
[1] M. BILANCETTI,
La responsabilità penale civile del medico, II
ed., Padova, 1996; dello stesso v. anche La
responsabilità del chirurgo estetico, in Giur.
it., 1997, 2, IV, 354 e segg.
[2] Cfr. Tribunale
Trieste, 14 aprile 1994: <<L'obbligazione, contratta da un
istituto specializzato nella chirurgia estetica,
e' un'obbligazione di mezzi e comporta,
davanti ad un caso ordinario, una
responsabilita' per colpa anche lieve ex art. 1176 e 2236 c.c. In assenza di un rapporto
di lavoro subordinato del sanitario, officiato
per l'intervento chirurgico, l'istituto contraente rispondera', ex
art. 1228 c.c., per fatto degli ausiliari, mentre il sanitario medesimo, per
responsabilita' aquiliana, in base all'art. 2043 c.c.>> Depta c. Laudano e altro, in
Resp. civ. e prev., 1994, 768 nota (PONTONIO).
[3] M. BILANCETTI,
La responsabilità del chirurgo estetico, in Giur. it., 1997, 2, IV, 357 e segg.
[4] Cfr. Trib. di
Roma, 10 ottobre 1992, P.T. - L.G.R, in Assicurazioni, 1993, II, 207; in Giur. it.,
1993, I, 2, 238.
[5] Cfr. Cass.
civ., sez. II, 8 agosto 1985 n. 4394,: <<Nel contratto
di prestazione d'opera intellettuale, la
violazione del dovere di informazione gravante sul professionista e' fonte di
responsabilita' contrattuale e del conseguente obbligo di risarcimento del danno
commisurato all'interesse c.d. positivo. Tale dovere investe oltre le potenziali cause di
invalidita' d'inefficacia della prestazione professionale anche le ragioni che la rendono
inutile o dannosa in rapporto al risultato (ancorche' non espressamente dedotto in
contratto).>> Pollaci c. Bayali, in Giur. it.,
1987, I, 1, 1136 (nota).
[6] A questo
proposito può leggersi la sen. della Cass. civ. sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014, ove
si dice che : <<Un consenso immune da vizi non puo' che formarsi dopo aver avuto
piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed
estensione e dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze
negative, sicche' presuppone una completa informazione sugli stessi da parte del sanitario
o del chirurgo, senza che possa distinguersi, sotto tale profilo, tra chirurgia
riabilitativa e chirurgia estetica (con particolare riferimento alla chirurgia estetica,
Cass. 8.8.1985, n. 4394; Cass. 12.6.1982, n. 3604). Solo cosi' il paziente potra'
consapevolmente decidere se sottoporsi all'intervento o se ometterlo, in un bilanciamento
tra vantaggi e rischi, specie allorche' si tratti di intervento non necessitato, come nel
caso della chirurgia estetica.>> Sforza c. Milesi Olgiati, in Foro it., 1995, I, 2913 nota (SCODITTI); in Nuova giur. civ. commen., 1995, I, 937 nota
(FERRANDO).
[7] Infatti vi fu
nell'occasione contrasto tra gli stessi giudici del collegio.
[8] Si tratta
della sen. Cass. civ., 9 aprile 1997, n. 3046, Veneziano - Amendola, in Giur. it., recentissime, IV dispensa, aprile 1997,
commento di Vincenzo Carbone.
[9] Cfr., Ibidem: <<Nel contratto avente ad oggetto
una prestazione di chirurgia estetica, il sanitario puo' assumere
una semplice obbligazione di mezzi, ovvero anche una obbligazione
di risultato, da intendersi quest'ultimo non come un dato assoluto ma da valutare con
riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilita' consentite dal
progresso raggiunto dalle tecniche operatorie.>>