8 La colpa professionale e lo standard di
riferimento
per la valutazione della diligenza
Nelle pagine che precedono si è spesso fatto rinvio
ad uno standard medio di riferimento, che dovrebbe costituire la discriminante tra la
prestazione diligente e quella al contrario indiligente del professionista in genere.
A maggior ragione nel caso del sanitario, è d'uopo
fare riferimento a tale standard per comparare la sua prestazione a quella che avrebbe
dovuto porre in essere, secondo quanto prescrivono le pratiche comunemente espresse dal
professionista medio[1] appartenente alla categoria di
riferimento che interessa.
Se, invero, vi
sono alcuni principi, quelli deontologici in primis, che debbono costituire il punto di
riferimento principe di qualsiasi attività medica, a prescindere dalla specialità o
campo d'applicazione dell'attività di specie, bisogna tuttavia tenere in considerazione
che l'altissima specializzazione che caratterizza la scienza medica, ha di fatto
consentito d'individuare, nell'ambito delle singole specialità, "comportamenti di
riferimento" di volta in volta peculiari, ed è con tali standard che è necessario
confrontarsi al momento della valutazione. Quest'ultima sarà condotta di norma sulla base
dei pareri espressi da professionisti del settore, nonché da medici legali di adeguata
preparazione, con l'ausilio degli apporti dei periti di parte, non possedendo il
magistrato le necessarie competenze tecniche in materia.
Ed è su questo punto che si è creato il
comprensibile conflitto con i medici legali e con gli specialisti, chiamati a esprimere i
propri pareri tecnici sull'operato di altri colleghi, in quanto la valutazione tecnica,
che viene condotta ex post, è bene affermarlo, sulla base della documentazione clinica e
dei ricordi del professionista interessato, nonché sulla base dell'eventuale nocumento
derivato al paziente, fondata sulla adeguatezza del comportamento del medico agli standard
che la letteratura medica aggiornata detta sul caso, risulta sempre ardua, forse comunque
parziale, non potendo tenere conto di una serie di variabili ambientali, emotive,
contingenti che sarà compito del giudice tenere in debita considerazione.
La polemica, tra alcuni medici specialisti ed i medici
legali, verte proprio sull'asserita freddezza e rigidità tecnica con la quale il loro
operato è messo a confronto con lo stato dell'arte medica, il "famigerato"
standard di riferimento, che ridurrebbe tale valutazione in una sorta di rigorosa
trasformazione della complessa "arte medica" in una serie di operazioni e di
dati che assolutizzano, per così dire, i comportamenti, secondo canoni tecnici e
formalismi che nella pratica non troverebbero spazio.
Non essendo il
mio compito quello di entrare nel merito di una polemica, che mi troverebbe comunque
assolutamente privo delle competenze necessarie, mi limito a renderne conto in questa
sede, considerata comunque la sua importanza, non senza auspicare un futuro ove collegi
giudicanti da un lato, e consulenti tecnici di parte e d'ufficio dall'altro, unitamente
agli avvocati, possano essere appositamente preparati a svolgere incarichi di tale
delicatezza, che richiederebbero forse delle apposite sezioni ove essere trattati.
Questa
osservazione nasce dal bisogno che il rapporto tra medico e paziente trovi una rinnovata
fiducia, nell'interesse preminente ad un sereno e proficuo svolgimento della professione
medica e più generalmente sanitaria, i cui risvolti sugli interessi della collettività
non abbisognano certo di ulteriore illustrazione.
Avv. Nicola Todeschini
www.studiolegaletodeschini.it
membro dello Studio Legale
Consumerlaw
[1] Cfr. Cass. civ. sez. III, 3 marzo 1995, n. 2466: <<Il medico-chirurgo nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali inerenti alla propria attivita' professionale e' tenuto ad una diligenza che non e' solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall'art. 1176 comma 1 c.c., ma e' quella specifica del debitore qualificato, come indicato dal comma 2 dell'art. 1176, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, tenendo conto che il progresso della scienza e della tecnica ha notevolmente ridotto nel campo delle prestazioni medico-specialistiche l'area della particolare esenzione indicata dall'art. 2236 c.c. (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso che possa considerarsi problema tecnico di speciale difficolta' per uno specialista ortopedico la corretta terapia della immobilizzazione delle articolazioni di un arto ustionato).>>, Mascali c. Soc. Cristando, in Giust. civ. Mass., 1995, 514.