9 Il consenso informato
Nell'attuale panorama delle professioni intellettuali,
sempre più caratterizzato dall'alto grado di tecnicismo e specializzazione settoriale, il
tema dell'informazione[1] al "cliente" assume, a
maggior ragione, rilievo sempre più consistente, anche dal punto di vista deontologico.
In pressoché tutte le professioni intellettuali, il
cliente, o meglio il creditore della prestazione professionale, viene più o meno
indirettamente posto di fronte a scelte, comportanti valutazioni tra Qcosti
e beneficif,
sempre più ardue e complesse da comprendere, per assumere le quali risulta fondamentale,
oltre che la sua cultura generale, la corretta informazione da parte del professionista.
È certo che la funzione del professionista è, tra le
altre, quella di prestare la propria opera in settori che, richiedendo particolari
competenze, necessitano della guida di uno specialista della materia, ma ciò non toglie
che gli effetti della condotta di quest'ultimo si riverberano sempre e comunque in capo al
cliente, andando ad incidere in modo consistente su interessi patrimoniali e non
patrimoniali dello stesso, fondando perciò l'obbligo, in capo al professionista, di
informare correttamente il <<creditore-cliente>> dei vantaggi e dei rischi che
la metodologia d'azione scelta comporta, con sufficiente probabilità.
Così l'Avvocato che decida per l'una o l'altra
strategia difensiva, dovrebbe illustrare al cliente l'opportunità della scelta e metterlo
in guardia rispetto ai possibili rischi che tale condotta potrebbe comportare, non
rimanendo del tutto esente da responsabilità a fronte di una scelta rischiosa che,
distaccandosi notevolmente dalla comune pratica forense, provocasse danni ai quali il
legale stesso non avesse fatto preventivamente cenno alcuno al proprio cliente.
Per venire alla figura professionale d'interesse in
questa breve trattazione, ritengo che a maggior ragione, trattandosi di prestazione
professionale che coinvolge direttamente da un lato beni della vita di rilevanza primaria,
se non il bene della vita stesso, dall'altro materie di pressoché assoluta ignoranza da
parte del paziente, il dovere di informare in modo completo quest'ultimo, emerga con forza
e intensità del tutto peculiari.
Ciò non significa che non vi siano alcune prestazioni
mediche che, per la loro ordinarietà, possano ritenersi conosciute dalla maggioranza dei
possibili pazienti, per essere entrate a far parte della comune esperienza di ciascuno: mi
riferisco, a titolo d'esempio, al prelievo di sangue, all'applicazione di un gesso, ad
un'iniezione antitetanica. Che tali prestazioni comportino, ora l'iniezione con relativa
minima ferita al braccio, ora l'immobilizzazione della parte ingessata, è caratteristica
che può ritenersi, a ragione, conosciuta o conoscibile con la dovuta ordinaria diligenza
da parte di ciascuno, salvo che non vi siano elementi per sostenere che il professionista
avrebbe dovuto avvedersi dell'assoluta mancanza di consapevolezza, da parte del paziente
che assisteva, delle più elementari nozioni medico-sanitarie e pertanto preoccuparsi di
integrarne la conoscenza.
In ogni altro caso non riferibile a tale minima
categoria di presunta conoscenza, il dovere d'informazione assume un rilievo fondamentale,
in una duplice direzione: da una parte,
infatti, la corretta informazione costituisce il presupposto per la valida prestazione del
consenso al trattamento medico, dall'altra, assume i contorni di un dovere autonomo
rispetto alla stessa colpa professionale, potendone addirittura prescindere. Tale secondo
aspetto sarà trattato nel successivo paragrafo.
Riprendendo le osservazioni pertinenti al primo dei
due temi di rilievo, occorre rilevare che il professionista, prima di acquisire il
consenso[2], si deve preoccupare di illustrare[3] compiutamente al paziente la
situazione che ha di fronte, le possibilità d'intervenire, i probabili effetti benefici
che ne dovrebbero conseguire, nonché i rischi che potrebbero derivarne; deve dunque
mettere il paziente nelle condizioni di effettuare, nel limite delle proprie possibilità,
una valutazione, quanto più cosciente e completa, dei <<costi>> e dei
<<benefici>>, e prestare di
conseguenza il consenso all'effettuazione delle operazioni che la scelta comporta.
I riferimenti normativi, anzitutto di rango
costituzionale, sono chiaramente illustrati nel brano di sentenza[4] che riporto di seguito:
[
] tale
informazione e' condizione indispensabile per la
validita' del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento
terapeutico e chirurgico, senza del quale l'intervento
sarebbe impedito al chirurgo
tanto dall'art. 32 comma 2 della Costituzione [5],
a norma del
quale nessuno puo' essere obbligato
ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge, quanto dall'art. 13 cost. [6], che garantisce
l'inviolabilita' della liberta' personale con riferimento anche alla liberta' di salvaguardia della propria salute e della propria integrita'
fisica, e dall'art. 33 della l. 23 dicembre
1978 n. 833, che esclude la
possibilita' di accertamenti e di trattamenti
sanitari contro la volonta' del
paziente se questo e' in grado di prestarlo e non
ricorrono i presupposti dello stato di
necessita' (art. 54 cod. pen.).
Affermati tali imprescindibili riferimenti normativi,
gli ulteriori percorsi interpretativi volti ad inquadrare la violazione del dovere
d'informare, secondo i principi desumibili dal codice civile, non mancano di stimolare
ulteriormente la riflessione.
Infatti l'accordo tra medico e paziente, presupponendo[7] una corretta informazione[8], perde altrimenti ogni significato
per un vizio del consenso, conseguendone l'annullabilità ex artt. 1427 e segg. cod. civ[9].
Il vizio che inerisca al consenso informato è
altresì, secondo una tesi peraltro non condivisa da molti, motivo di responsabilità
precontrattuale[10], ai sensi dell'art. 1337 cod. civ.[11], sul presupposto della violazione
del comportamento in Qbuona
fedef
del professionista. Tuttavia sembra preferibile muovere, nei confronti di quest'ultima
ipotesi, una critica. Il rilevo che il difetto d'informazione ha nel contratto d'opera,
sembra infatti non tanto da relegarsi alla responsabilità precontrattuale, da
individuarsi nella fase delle trattative, peraltro già superata: il dovere d'informazione
rileva piuttosto come oggetto della stessa prestazione contrattualmente dovuta.[12]
E ancora, l'eventuale conoscenza della difettosità
d'informazione al paziente, ai sensi dell'art. 1338 cod. civ.[13], integrando gli estremi della
previsione contenuta nella norma, pone in capo al sanitario il conseguente dovere di
risarcire il danno subito dal paziente, qualora non abbia dato notizia a quest'ultimo
della consapevolezza acquisita in merito al vizio dell'informazione dovuta.
Soprattutto
preme di sottolineare che il consenso informato è manifestazione del diritto di
autodeterminazione, tutelato da norme di rango costituzionale, come in precedenza detto, e
non è più condizionato dagli angusti confini descritti dall'art. 5 cod. civ., entro i
quali una superata dottrina tentava di racchiudere la legittimazione dell'attività
medica.
Il codice deontologico del 1995, all'art. 31[14], descrive il consenso come
fondamento di legittimazione dell'atto medico[15],
in ossequio ai menzionati principi costituzionali di cui agli artt. 13 e 32,
sull'importanza dei quali lo stesso Consiglio Nazionale di Bioetica[16] nel documento Informazione e
consenso allatto medico, osserva che:
"dal
disposto degli artt. 13 e 39 della Costituzione discende che al centro dellattività
medico-chirurgica si colloca il principio del consenso, il quale esprime una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto
tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare fondato prima sui diritti del
paziente che sui doveri del medico. Sicché sono da ritenere illegittimi i trattamenti
sanitari extra-consensuali, non sussistendo un dovere
di curarsi se non nei definiti limiti di cui allart. 32 cpv. 2 Cost. E
da precisare tuttavia che pure il principio del consenso incontra dei limiti, giacché
nonostante il consenso, lintervento risulta illecito quando supera i limiti della
salvaguardia della vita, della salute, dellintegrità fisica, nonché della dignità
umana".
Affinché il consenso sia legittimamente prestato deve
essere reso personalmente, contenendo precisi riferimenti al caso di specie, così da non
far incorrere chi lo presta in errori di valutazione, nonché essere consapevole. I prossimi congiunti non possono pertanto prestare
il consenso in luogo dell'interessato, dovendosi ritenere che, in mancanza della
sussistenza di un pericolo di gravi danni per il paziente, sia da mantenere fermo il
principio della prestazione personale: dovrà così attendersi che quest'ultimo riacquisti
la capacità per prestarlo validamente.
Al contrario, ove si verificassero le condizioni di
pericolo di gravi danni, il medico dovrà intervenire indipendentemente da quanto
affermino i congiunti.
Se si tratta di
minore o di interdetto, il consenso dovrà essere prestato dal legale rappresentante[17]. Sussistendo opposizione al
trattamento, nonché contestualmente motivi di urgenza per la salute del paziente, al
medico non rimarrebbe altra via che adire il giudice tutelare il quale avrà la
possibilità di dichiarare la temporanea decadenza della potestà ex artt. 330 e 333 cod.
civ.
Il consenso
inoltre dovrebbe essere sempre scritto, non in quanto la formulazione orale[18] sia incompatibile con i principi
su esposti, ma poiché in tal modo il sanitario sarebbe in grado di dimostrare agevolmente
la sussistenza del consenso stesso; ne discende l'opportunità e della sua formulazione
scritta e del suo sistematico inserimento nella cartella clinica[19]. Ad una mera prestazione orale
osta anche un'ulteriore circostanza relativa alla maggior semplicità dell'apprendimento,
da parte del paziente, delle numerose informazioni contenute nel modulo di consenso,
meritando queste, ove possibile, una meditazione attenta.
Spesso,
peraltro, il paziente viene invitato a fornire il proprio consenso firmando moduli
prestampati che non possono soddisfare di volta in volta le specifiche esigenze del caso,
e che spesso, data la loro incompletezza, non contengono, come al contrario sarebbe
auspicabile, i precisi riferimenti al tipo d'informazione e alle caratteristiche
dell'intervento, ovvero riportano formule liberatorie di responsabilità nei confronti
dell'ente ospedaliero prive di fondamento giuridico e per questo foriere di inutili
incomprensioni.
Venendo ora ad
alcuni aspetti caratterizzanti particolari profili di -assunta- diversa intensità
dell'informazione da fornire, e rinviando per un'analisi più dettagliata al paragrafo
relativo al caso del chirurgo estetico[20],
vi è ancora da affrontare la necessità o meno di un'informazione che sia direttamente
proporzionale -quanto alla sua profondità- all'entità del rischio[21] esistente. Al fine di evitare
ulteriori differenziazioni, giova ribadire l'importanza di un'informazione piena e
consapevole in ogni caso, a prescindere dall'adesione a criteri di quantificazione che
risulterebbero, comunque, di difficile e dubbia applicabilità, con la conseguenza di
incrementare le perplessità degli operatori sanitari e dei pazienti interessati.
Piuttosto la
giurisprudenza più recente[22] ha
sottolineato la necessità che Qnegli
interventi chirurgici in varie fasi, che assumano una propria autonomia gestionale e diano
luogo a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenta rischi diversi,
l'obbligo di informazione del sanitario si estende alle singole fasi ed ai rispettivi
rischif.
Tale principio, di rilevante applicabilità nel contesto odierno, rappresentato
prevalentemente dal lavoro d'équipe, assume
notevole importanza ai fini del nostro discorso provocando, da un punto di vista meramente
pratico, alcuni problemi organizzativi e burocratici, peraltro superabili, ai sanitari.
Infatti, vinte le prime diffidenze in merito alla corretta pratica informativa al
paziente, sarà opportuno operare in modo da ottenere il consenso scritto relativamente ad
ogni singola fase: quindi, a mero titolo esemplificativo, dovendo il paziente sottoporsi
ad un intervento di meniscectomia mediale, nel corso delle visite che precedono tale tipo
d'intervento -per lo più realizzato oggi nelle forme agili del day hospital- quale quella
presso l'anestesista, o lo specialista ortopedico, il paziente ha diritto di essere
adeguatamente informato circa le caratteristiche dei singoli interventi, i rischi che si
possono prevedere, infine le scelte che i diversi specialisti intendono operare. Sulla
scorta dell'adeguata informazione presterà poi i consensi necessari al fine di procedere
all'intervento.
Non risulterebbe altrimenti accettabile, mi sia
consentito, comprendere come un paziente debba essere informato solo relativamente
all'intervento specifico -in tale caso la meniscectomia-, senza ricevere adeguata
informazione sulle scelte che l'anestesista intende operare, non essendo queste ultime
certo meno importanti di quelle del chirurgo o dello specialista in ortopedia.
Riprendendo i termini dell'esempio, la scelta
dell'anestesista, per tale tipo di interventi routinari, è normalmente quella della
rinuncia alla c.d. anestesia totale per molte ragioni, che non è detto però siano
assorbenti. E mi spiego. L'anestesia in linguaggio comune detta <<spinale>>
che non comporta, come è noto, la perdita di coscienza del paziente, risulta certo più
comoda e veloce, potendo però nascondere anche insidie, ove non praticata correttamente,
di notevole entità e comunque interessare valutazioni dello specialista, anche di segno
opposto, quando sia messo a conoscenza di eventuali pregresse vicende negative subite dal
paziente per tale tipo di intervento.
Riemerge in tale contesto, con una certa forza,
l'importanza già accennata dell'anamnesi, attraverso la quale ottenere dal paziente
notizie sulla sua pregressa storia clinica e operare di conseguenza.
Venendo ora agli aspetti organizzativi di tale
modalità d'informazione, non sarebbe forse inutile soffermarsi sulla necessità di
organizzare, come avviene nei presidi ospedalieri più attrezzati, visite separate nel
corso delle quali ciascuno specialista, sotto la propria responsabilità, illustrerà al
paziente il quadro clinico, chiedendo di volta in volta il consenso specifico alla terapia
e/o modalità d'intervento appena illustrata. Dovrebbero in tal modo ottenersi, alla fine
del ciclo di visite, una serie di moduli personalizzati e specifici di consenso informato
che dovranno ovviamente confluire nella cartella clinica del paziente, completando la
documentazione in essa contenuta.
Avv. Nicola Todeschini
www.studiolegaletodeschini.it
membro dello Studio Legale
Consumerlaw
[1] Si vedano come
riferimento le note di A. PALMIERI, Relazione
medico paziente tra consenso globale e responsabilità del professionista, in Foro it., I, 777 e segg., in rif. a Cass., sez.
III civ., sen. 15 gennaio 1997, n. 364, Scarpetta c. Usl 12.
[2] Cfr. anche la
sen. della Cass. civ. sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014, Sforza c. Milesi Olgiati, in Foro it., 1995, I, 2913 nota (SCODITTI), e in Nuova giur. civ. commen., 1995, I, 937 nota
(FERRANDO).
[3] Cfr. l'art. 29
cod. deontol.: <<Il medico ha il dovere di dare al paziente, tenendo conto del suo
livello di cultura e di emotività e delle sue capacità di discernimento, la più serena
e idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive terapeutiche e
sulle verosimili conseguenze della terapia e della mancata terapia, nella consapevolezza
dei limiti delle conoscenze mediche, anche al fine di promuovere la migliore adesione alle
proposte diagnostiche-terapeutiche.
Ogni ulteriore
richiesta di informazione da parte del paziente deve essere comunque soddisfatta.
Le informazioni
relative al programma diagnostico e terapeutico, possono essere circoscritte a quegli
elementi che la cultura e la condizione psicologica del paziente sono in grado di recepire
e accettare, evitando superflue precisazioni di dati inerenti gli aspetti scientifici.
Le informazioni
riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazioni e
sofferenze particolari al paziente, devono essere fornite con circospezione, usando
terminologie non traumatizzanti senza escludere mai elementi di speranza.
La volontà del
paziente, liberamente e attualmente espressa, deve informare il comportamento del medico,
entro i limiti della potestà, della dignità e della libertà professionale.
Spetta ai
responsabili delle strutture di ricovero o ambulatoriali, stabilire le modalità
organizzative per assicurare la corretta informazione dei pazienti in accordo e
collaborazione con il medico curante.>>
[4] Cass. civ.
sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014, Sforza c. Milesi Olgiati, in Giust. civ. Mass., 1994, fasc. 11.
[5] Art. 32 Cost.
- La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere
obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
[6] Art. 13 Cost.
- La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di
ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà
personale se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi
previsti dalla legge.
In casi eccezionali
di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica
sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce
i limiti massimi della carcerazione preventiva.
[7] M. BILANCETTI,
La responsabilità del chirurgo estetico, in Giur. it., 1997, 2, IV, 354 e segg.
[8] Cfr. le
indicazioni del Comitato Nazionale di Bioetica secondo cui linformazione deve
essere:
<<a) adatta al singolo paziente,
in relazione alla sua cultura e alla sua capacita di comprensione da un lato e al suo
stato psichico dallaltro;
b) corretta e completa circa la
diagnosi, le terapie, il rischio, la prognosi. Nella sua articolazione detta norma
sinteticamente ed efficacemente offre al medico le chiavi per lindividuazione della
linea di comportamento più idonea al caso specifico.>>
[9] Art. 1427. - Errore, violenza e dolo
Il contraente, il
cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere
l'annullamento del contratto secondo le disposizioni seguenti.
[10] Cfr. Cass.
civ. sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014: <<Nel contratto di prestazione d'opera
intellettuale tra il chirurgo ed il paziente, il professionista
anche quando l'oggetto della sua
prestazione sia solo di mezzi,
e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell'intervento,
sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilita' e probabilita' dei
risultati conseguibili, sia perche' violerebbe,
in mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella
formazione del
contratto (art. 1337 c.c.) sia perche'
tale informazione e' condizione
indispensabile per la validita' del
consenso, che deve essere consapevole,
al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l'intervento
sarebbe impedito al chirurgo tanto
dall'art. 32 comma 2 della Costituzione, a norma del quale nessuno puo' essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge, quanto dall'art. 13 cost., che garantisce
l'inviolabilita' della liberta' personale con riferimento anche alla liberta' di salvaguardia della propria
salute e della propria integrita' fisica, e dall'art. 33 della l. 23 dicembre
1978 n. 833, che esclude la
possibilita' di accertamenti e di trattamenti sanitari
contro la volonta' del paziente se
questo e' in grado di prestarlo e non ricorrono
i presupposti dello stato di necessita' (art. 54 c.p.).>> Sforza c. Milesi
Olgiati, in Giust. civ. Mass., 1994, fasc. 11.
[11] Art. 1337. - Trattative e responsabilità precontrattuale
Le parti, nello
svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo
buona fede.
[12] Cfr. sul
punto V. CARBONE, L'informazione sulle possibili
anestesie e sui relativi rischi, in Danno e
resp., 2, 1997, 183; A. SPIRITO, Responsabilità
professionale ed obbligo d'informazione, in Danno
e resp., 1, 1996, 24.
[13] Art. 1338.- Conoscenza delle cause d'invalidità.
La parte che,
conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto, non
ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per
avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.
[14] Art. 31 cod.
deontol.: <<Il medico non deve intraprendere attività diagnostica o terapeutica
senza il consenso del paziente validamente informato.
Il consenso, in
forma scritta nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche o
terapeutiche o per le possibili conseguenze sulla integrità fisica si renda opportuna una
manifestazione inequivoca della volontà del paziente, è integrativo e non sostitutivo
del consenso informato di cui allart. 29.
Il procedimento
diagnostico e il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per
l'incolumità del paziente, devono essere intrapresi, comunque, solo in caso di estrema
necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una
opportuna documentazione del consenso.
In ogni caso, in
presenza di esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e di volere, il medico deve
desistere da qualsiasi atto diagnostico e curativo, non essendo consentito alcun
trattamento medico contro la volontà del paziente, ove non ricorrano le condizioni di cui
al successivo articolo 33.>>
[15] Cfr. FNOMCeO, op. cit., sub art. 31 cod. deontol.
[16] Ibidem, sub
art. 31 cod. deontol.
[17] Cfr. art. 32
cod. deontol. nell'appendice di documentazione.
[18] Cfr. a
proposito le conseguenze ricollegabili alla valutazione di inattendibilità delle prove
testimoniali presentate a prova dell'avvenuta prestazione del consenso orale, Corte
appello Genova, 5 aprile 1995: <<In ipotesi di indagine radiologica invasiva (nella specie: angiografia carotidea con liquido di contrasto), eseguita in assenza di consenso del paziente e senza un'adeguata
informazione sui rischi statisticamente prevedibili ad essa connessi, la struttura
sanitaria, dove si e' svolto tale esame, e' responsabile dei danni
conseguenti al decesso del paziente, anche se nell'operato dei sanitari non siano
ravvisabili imperizia, imprudenza o negligenza. Il direttore della clinica universitaria,
dove e' stato eseguito in regime di ricovero l'esame radiologico senza il consenso del
paziente, non e' civilmente responsabile dei danni
subiti dagli stretti congiunti in conseguenza del decesso del congiunto, non essendo ravvisabile nel suo operato una colpa
ne' "in eligendo" ne' "in vigilando".>> Univ. studi Genova c.
Siciliano e altro, in Danno e resp., 1996, 215
nota (DE MATTEIS).
[19] Cfr. G. U.
RONCHI, Il consenso all'operazione deve essere
esplicito e non filtrato dalla mediazione dei familiari, in Guida al diritto, Il sole 24 Ore, 5, 8 febbraio
1997, 67 e segg.
[20] Vedi infra le osservazioni al paragrafo n. 26 relativo
alla responsabilità del chirurgo estetico.
[21] Cfr. A.
PALMIERI, op. cit., in Foro it., I, 777 e segg., in rif. a Cass., sez.
III civ., sen. 15 gennaio 1997, n. 364, Scarpetta c. Usl n. 12.
[22] Ibidem, pag. 771