Il caso del malato terminale in Ospedale
Di recente mi sono trovato a sostenere le ragioni di un mio paziente che pregava i medici dell’ospedale di non dimetterlo. Affetto da una neoplasia avanzata, era obbligatoriamente allettato, cateterizzato, costretto a una alimentazione parenterale totale, assolutamente dipendente da un’assistenza continua che temeva essere impossibile presso il proprio domicilio. Naturalmente si era predisposto il suo ritorno attivando l’assistenza domiciliare integrata, verificata la collaborazione della moglie che, pur intimorita dalla gravità delle condizioni e dalla stessa sofferenza del marito, aveva accettato la decisione del primario di dimetterlo. Da parte mia mi ero reso disponibile a seguirlo anche negli orari di guardia medica. L’unico a non essere d’accordo era proprio il paziente che, senza alcuna illusione sull’utilità di ulteriori cure, ma consapevole del proprio stato di bisogno, temeva di gravare eccessivamente sulla moglie e soprattutto di essere privato di quella sorta di cintura di sicurezza che l’ospedale comunque gli garantiva. Teneva alla sua privacy ,voleva poter vivere quegli ultimi giorni senza dover rendere conto a parenti e amici del proprio stato di salute, voleva evitare l’imbarazzo di dolorose manifestazioni di circostanza .Come dargli torto? Io ho sostenuto il diritto del mio paziente ad essere "ospitato" presso una pubblica struttura ospedaliera, nonostante i DRG.
Ma ci si può opporre alla dimissione? So di pazienti in stato di coma vegetativo che rimangono presso unità di terapie intensive per anni non potendo essere dimessi, in mancanza di sistemazioni adeguate e alternative, senza incorrere, da parte della struttura di ricovero, nel rischio di omissione di soccorso.
Il problema dei "Malati terminali"
I tumori in Italia aumentano progressivamente: sembra che attualmente il numero di malati si aggiri intorno ai 300 mila ogni anno, con un numero di decessi annuale (è la seconda causa di morte dopo le malattie dell' apparato cardiocircolatorio) compreso tra i 150.000 e i 180.000.
Gran parte dei decessi per tumore (almeno il 70%) e' preceduta da una fase terminale la cui durata e' stata calcolata, mediamente, intorno ai 90 giorni.
Di fronte ad un problema di tali dimensioni e' stato necessario adeguare le strutture sociali, quelle assistenziali, e il modo stesso di concepire l' assistenza al malato terminale.
Le cure palliative
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le Cure Palliative come la "cura totale prestata alla persona affetta da una malattia che non risponde più alle terapie utilizzate per raggiungere la guarigione. Le Cure Palliative affermano il valore della vita, considerano la morte come un evento naturale, non prolungano né abbreviano l’esistenza dell’ammalato; provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi; tengono conto degli aspetti psicologici e spirituali; offrono un sistema di supporto per aiutare il paziente a vivere il più attivamente possibile sino alla morte; aiutano la famiglia dell’ammalato a convivere con la malattia e poi con il lutto".
Le Cure Palliative non hanno lo scopo di accelerare o differire la morte, ma cercano di garantire la migliore qualità della vita, sino alla fine combattendo la sofferenza, sia fisica (dolore, ed altri numerosi sintomi invalidanti), psicologica (paura della morte, ansia, perdita dell’autonomia ecc.), o sociale (preoccupazione della famiglia, difficoltà oggettive, perdita del ruolo lavorativo e sociale ...) rispettando il diritto del malato di ricevere tutte le cure possibili idonee ad eliminare o ad attenuare la sofferenza.
Queste terapie possono essere organizzate secondo diversi modelli:
L' assistenza domiciliare:
Da sempre la "casa" riveste, per i malati, il ruolo di luogo pieno di sicurezza, di protezione, di affetto e di calore, ove le abitudini di una vita si sono consolidate, pieno di ricordi e della storia di una famiglia.
Il malato terminale, nella maggior parte dei casi, preferisce rimanere nella propria casa, tuttavia questa non e' una regola assoluta, in quanto l' assistenza al domicilio, per i familiari, puo' essere fonte di stress e di sofferenza fisica o psicologica sia per i familiari che per il malato stesso.
In effetti la casa del malato è il luogo ideale per impostare eventuali cure palliative, ma non sempre è disponibile o adatta per un'assistenza adeguata. D'altro canto attualmente l'ospedale è strutturato essenzialmente per il trattamento di patologie acute, o comunque bisognose di trattamenti attivi, con mezzi tecnici e risorse umane finalizzate principalmente alla guarigione della malattia, con relativa scarsita' di mezzi finalizzati ad una migliore qualità della vita di questi pazienti.
Si e' cercato di ovviare a questi problemi mediante l' incentivazione delle strutture d' appoggio domiciliari, in parte centrate sulla figura del Medico di Famiglia (Assistenza Domiciliare Programmata e/o Integrata), in parte centrata sulla formazione di specifiche forme di intervento tali da coprire i bisogni del malato mediante interventi tecnologici (ogni intervento che necessiti di attrezzature specifiche o di specifiche competenze medico-sanitarie: scelta ed esecuzione delle terapie) o assistenziali: (tutto quanto può essere necessario a un ammalato durante la sua giornata: nutrirlo, fargli compagnia, lavarlo, risolvere i numerosi problemi burocratici che l’inabilità ha creato, occuparsi degli eventuali bambini, aiutare i famigliari nel momento del decesso ed eventualmente nella fase del lutto).
Il nucleo centrale di una Equipe di Cure Palliative comprende, oltre al medico e l’infermiere, il volontario, lo psicologo, l’assistente sociale e l’assistente spirituale, che a loro volta possono far perno sul familiare leader, (cosiddetto "care giver"), che di fatto si assumerà il compito più gravoso dell’assistenza, e che generalmente è un congiunto o il parente più stretto: talvolta è un amico o un conoscente.
L' assistenza ospedalizzata
L'ospedale e' attualmente sempre meno disponibile e adatto ai malati cosiddetti "cronici", a degenza protratta seppure indeterminata, scarsamente reagenti alle terapie, di scarso vantaggio economico per le Aziende.
L'entrata in vigore del decreto legislativo 502/517, con l' introduzione dei DRG, ha portato a riconsiderare nuovi modelli di intervento, con la tendenza alla dimissione precoce dei malati che la legge ha stabilito essere poco remunerativi.
Torna ad essere essenziale quindi, in seguito ad una serie di considerazioni tecniche e organizzative, che tiene conto dei mutamenti sociali oltre che economici, rivalutare il modello assistenziale domiciliare interessante l'intero nucleo familiare del paziente e che vede l'integrazione di competenze mediche, psicologiche e infermieristiche.
E' stato ritenuto necessario, pero', per tutti i casi che per qualsivoglia motivo non potessero usufruire utilmente dell' assistenza in regime domiciliare, creare delle forme di ricovero alternativo, i cosiddetti Hospice.
Si definiscono Centri Residenziali di Cure Palliative (hospice) delle strutture finalizzate all’assistenza in ricovero temporaneo di malati affetti da malattie progressive ed in fase avanzata, a rapida evoluzione e a prognosi infausta per i quali ogni terapia finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazione della patologia non è più possibile o comunque risulta inappropriata. Il ricovero negli hospice è destinato per lo più a malati affetti da patologia neoplastica terminale.
Si tratta di centri o case di accoglienza che forniscono assistenza continua a chi si trova a vivere la fase terminale di una malattia inguaribile, garantendo un supporto di tipo medico-infermieristico, ma anche affettivo, psicologico, relazionale e spirituale. Essi cercano, idealmente, di riprodurre in l’ambiente familiare: i parenti e gli amici dei pazienti hanno generalmente libero accesso alla struttura, con possibilita', talora, di rimanervi a dormire; i pazienti possono portare da casa alcuni oggetti personali e ad ognuno viene garantita la propria privacy grazie alla creazione di stanze singole.
La maggior parte di tali strutture (pubbliche o private) e' concentrata attualmente soprattutto nel Nord Italia (67%), ove e' stato calcolato che circa il 60-70% dei pazienti neoplastici avanzati necessiti di tale tipologia assistenziale.
E' evidente quindi come il paziente del collega avrebbe potuto eventualmente (qualora se ne riscontrassero i requisiti) essere ricoverato in una di queste strutture.
Normative che regolano l' assistenza domiciliare ai malati terminali
Daniele Zamperini (pubblicato, con qualche modifica, su Occhio Clinico)