La semplice perdita di chances di sopravvivenza puo' configurare diritto al risarcimento per responsabilita' dei medici (Corte Suprema di Cassazione , III Civile, Sentenza n. 4400 del 4 marzo 2004)

I signori A. T. e C. B. chiedevano al tribunale il risarcimento, da parte dell' Ospedale di Rho, del danno loro derivante dalla morte del loro congiunto A. B.

Affermavano gli attori che il loro congiunto verso le ore 8 di detto giorno era ricoverato in ospedale in preda a forti dolori addominali; che i medici del pronto soccorso avevano diagnosticato un globo vescicale, inviando il paziente nel reparto di urologia, che ivi era stato sottoposto a visita, con esito negativo; che il B. decedeva in detto reparto alle ore 10,30 per rottura di aneurisma dell'aorta addominale; che la morte dello stesso era da addebitare ad errata diagnosi dei sanitari.
Il Tribunale di Milano, facendo proprie le conclusioni del c.t.u., accertava il colpevole errore diagnostico dei sanitari,che avevano omesso anche gli accertamenti strumentali necessari, ma rigettava la domanda per mancanza del nesso causale tra detto errore ed il decesso del B., in quanto, anche in caso di corretta diagnosi e conseguente intervento chirurgico presso altra struttura dotata di reparto di chirurgia vascolare, la sopravvivenza del paziente sarebbe stata possibile ma non probabile.


Proponevano appello gli attori, che pero' veniva rigettato.

Infatti la Corte riteneva che non era provato il nesso causale tra l'omessa diagnosi corretta dell'aneurisma e l'evento letale, poiché, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica, tenendo conto del tempo necessario per eseguire gli accertamenti, e ad effettuare il trasferimento  in altro ospedale dotato di idonee attrezzature, l' eventuale intervento, già di per sé a rischio di mortalità del 50%, tenuto conto anche dei gravi disturbi epatici del B., non poteva che avere remote possibilità di successo, e per ciò non apprezzabili, sotto il profilo del nesso causale in questione.

I familiari di A.B. presentavano ricorso in Cassazione, che lo accoglieva.

La Suprema Corte rilevava che:

- E' pacifico che la responsabilità dell'Ente ospedaliero (o delle USSL ed attualmente delle ASL) nei confronti dei pazienti ricoverati abbia natura contrattuale (cfr. Cass. n. 7336 del 1998 e n. 4152 del 1995), anche per quanto attiene al comportamento dei propri dipendenti medici; il debitore della prestazione, che si sia avvalso dell'opera di ausiliari, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi, per cui l'operato del personale dipendente di qualsiasi ente pubblico ed inserito nell'organizzazione dei servizio determina la responsabilità diretta dell'ente medesimo, essendo attribuibile all'ente stesso l'attività del suo personale (cfr. Cass. N. 9269/1997 e Cass. n. 10719/2000). Ne deriva che l'ente ospedaliero risponde direttamente della negligenza ed imperizia dei propri dipendenti nell'ambito delle prestazioni sanitarie effettuate al paziente, essendone contrattualmente responsabile se il medico è almeno in colpa.

- L' inadempimento, conferma la Corte, non va pero' misurato sul mancato raggiungimento del risultato,  ma sull' adeguata prestazione di mezzi.

- Sotto questo aspetto il rapporto causale può e deve essere riconosciuto anche quando si possa fondatamente ritenere che l'adempimento dell'obbligazione, ove correttamente e tempestivamente intervenuto, avrebbe influito sulla situazione, in modo che il risultato potesse essere conseguito in termini non necessariamente d'assoluta certezza ma anche solo di ragionevole probabilità.

- Nel caso in oggetto è certo che il medico ha dato alla patologia sottopostagli una risposta errata o in ogni caso inadeguata, per cui è possibile affermare che detta carenza (che integra l'inadempimento della prestazione sanitaria) aggrava la possibilità che l'esito negativo si produca.
Non è possibile affermare che l'evento si sarebbe o meno verificato, ma si può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta.  Siffatto, danno, non meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto ed attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quel risultato), non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo.

- L'errore diagnostico e la mancanza di accertamenti, afferma la Corte, già di per sé integra inadempimento della prestazione sanitaria. L'unico problema che residua è se tale inadempimento sia colpevole o meno.

Sennonchè, vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, essendo pacifico l'errore diagnostico e quindi l'inadempimento, la prova della mancanza di colpa doveva essere fornita dal debitore della prestazione, con la conseguenza che in caso di incertezza il giudizio doveva essere a favore del creditore (il paziente) e non del debitore (la USL).

Per questo motivo la Cassazione accoglie il ricorso dei familiari, e rinvia la causa per nuovo giudizio. 

 

Daniele Zamperini