Contrordine: i betabloccanti non dovrebbero più
essere antipertensivi di prima scelta.
Sempre più difficile orientarsi nel labirinto
degli studi sui farmaci antipertensivi.
Per valutare l'efficacia dei betabloccanti
nell'ipertensione primaria gli autori di questa meta-analisi hanno
identificato 7 RCT, per un totale di 27.433 pazienti, in cui i
betabloccanti sono stati paragonati a placebo o non trattamento e altri 13
trials, per un totale di 105.951 pazienti, in cui il paragone era tra
betabloccanti e altri antipertensivi.
Rispetto al placebo o al non trattamento il rischio di stroke era ridotto dai
betabloccanti del 19% (circa metà di quanto ci si sarebbe aspettato,
sottolineano gli autori).
Rispetto agli altri antipertensivi, invece, l'uso di betabloccanti era
associato ad un rischio di ictus più elevato del 16% (p = 0,009) e ad un
aumento della mortalità totale del 3% (dato non significativo, p = 0,14).
Gli autori concludono che i betabloccanti dovrebbero essere usati come farmaci
di scelta solo in alcune categorie di pazienti ipertesi (pregresso infarto
miocardico, scompenso cardiaco, presenza di aritmie, iperattività adrenengica
o livelli di stress molto evidenti) mentre negli altri casi si dovrebbe
iniziare con un diuretico, un aceinibitore o un calcioantagonista, che hanno
documentazioni di efficacia migliori.
Un editorialista sottolinea che comunque i betabloccanti, quando si ritiene di
sostituirli con un altro antipertensivo, non dovrebbero essere sospesi
bruscamente ma con una titolazione lenta.
Lindholm LH et al. Should beta blockers
remain first choice in the treatment of primary hypertension? A meta-analysis
Lancet . Pubblicato online il 18 ottobre 2005. DOI:10.1016/S0140-6736(05)67573-3
Commento di Renato Rossi
Un caposaldo della terapia antipertensiva, i betabloccanti, sembra ricevere da
questa meta-analisi un duro colpo e i medici faticano sempre più a tenere il
passo dei nuovi studi, in una babele continua di risultati che contraddicono
raccomandazioni e linee guida consolidate e studi precedenti.
In due meta-analisi pubblicate dal Lancet nel dicembre del 2000 si
raggiungevano conclusioni per certi versi opposte. Nella prima [1] si
evidenziava l'inferiorità dei calcio-antagonisti rispetto agli altri
trattamenti antipertensivi, nella seconda, che prendeva in considerazione
praticamente gli stessi studi, si concludeva che i calcionatagonisti sono
efficaci come gli altri farmaci [2].
Le stesse linee guida internazionali forniscono raccomandazioni divergenti.
Quelle americane considerano i tiazidici i farmaci di prima scelta
nell'ipertensione non complicata; quelle europee suggeriscono che gli
antipertensivi sono, grosso modo, tutti simili; quelle inglesi hanno
introdotto la singolare regola AB/CD (aceinibitori, sartani o betabloccanti
nei giovani, diuretici e calcioantagonisti negli anziani).
In una pillola recente Battaggia e Vaona hanno evidenziato come in gran parte
degli studi sull'ipertensione le conclusioni derivano da analisi su end-point
secondari e su sottogruppi: se si dovesse giudicare sulla base dell'end-point
primario si dovrebbe concludere per una non dimostrazione di differenze
importanti tra i vari trattamenti. Lo stesso studio ALLHAT, che ha costituito
la base per le ultime linee guida americane, non ha dimostrato differenze
nell'end-point primario tra clortalidone, lisinopril e amlodipina.
Quale filo d'arianna dovrebbero usare i medici per uscire da questo labirinto
di dati?
E' evidente che discutere astrattamente di quale deve essere il farmaco di
prima scelta è spesso un puro esercizio accademico perchè molti pazienti
necessitano di un'associazione di due, tre, quattro farmaci per riuscire ad
ottenere valori pressori accettabili. Vi è però una quota di pazienti che
non hanno un'ipertensione complicata e non hanno patologie associate che
possono far preferire alcuni farmaci rispetto ad altri e in cui la monoterapia
è sufficiente.
Qual è allora il criterio di scelta? Se è vero che i farmaci antipertensivi
sono, grosso modo, equivalenti, si dovrebbe pescare alla cieca? Ovviamente no,
si dovranno privilegiare allora criteri come la tollerabilità individuale ,
l'esistenza di controindicazioni specifiche, l'efficacia nel singolo paziente
nel raggiungere valori accettabili di pressione e, ultimo ma non meno
importante, il costo della terapia.
Bilbiografia
1. Pahor M et al. Lancet 2000 Dec 9; 356:1949
2. Blood Pressure Lowering Treatment Trialists Collaboration. Lancet 2000 Dec
9; 356:1955
3. The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack
Trial (ALLHAT).
JAMA 2002 Dec. 18; 288:2981-2997