Consenso informato e limiti etici nelle sperimentazioni cliniche
Di Luca Puccetti
Consenso informato e diversità storico culturali
Sempre più spesso il medico e le amministrazioni pubbliche o private che erogano
servizi sanitari fanno del consenso informato un vero e proprio totem. Non desidero
trattare degli aspetti giuridici del consenso informato. Vorrei invece cercare di
ragionare sui limiti intrinseci che sono connaturati a questo atto. occorre prima di tutto
notare che il consenso informato è uno dei tanti aspetti della colonizzazione culturale
che l'Italia ha subito ad opera della supremazia economica, politica, militare,
linguistica e mediatica del mondo anglosassone. Una civiltà che, pur apparentemente
simile alla nostra, presenta differenze rilevanti, non solo negli aspetti più evidenti,
ma anche in quelli più reconditi, quali ad esempio il concetto di libertà individuale ed
i limiti nei confronti della collettività dei diritti individuali, delle implicazioni
dell' habeas corpus. Perchè mai dovremmo importare ed implementare un modello, quale
quello del consenso informato, nella nostra dimensione? Forse che la pena di morte o la
diversissima sensibilità in tema di compenetrazione tra diritto alla difesa della
proprietà e vita umana non sono temi che ci dividono dal mondo degli Stati Uniti in modo
profondo?
Allo stesso modo occorre chiedersi se nella nostra civiltà storico-culturale abbia senso
usare, come sempre più stiamo facendo, il consenso informato. L'affermazione che oso fare
è che il paziente non possa mai avere un consenso realmente informato e che per di più
esso sia inutile.
La mistificazione del consenso informato
Il paziente ha, come anche ribadito giuridicamente dalla Suprema Corte, un' asimmetria
di informazioni sulla sua malattia. Il paziente, anche il più acculturato non ha le
conoscenze teoriche ed il necessario distacco clinico del medico curante. La condizione di
sentirsi un potenziale o reale malato genera infatti una sorta di ulteriore squilibrio del
rapporto in quanto alle diversità pre-esistenti aggiunge la preoccupazione per la propria
condizione che può ulteriormente minare la capacità di ragionare e comprendere appieno
tutta la portata della situazione clinica e delle varie possibilità
diagnostico-terapeutiche che si delineano.
Vorrei dire di più, nell'instaurarsi di un vero rapporto fiduciario tra medico e
paziente, il consenso informato diviene solo un mero pezzo di carta, talora dannoso. Se il
paziente si fida del suo medico, se il medico ha per unico faro la salute del proprio
paziente, che in lui ha riposto la fiducia, tutto il resto è una turbativa di questo
rapporto.
Di più, può essere un elemento di distorsione della stessa libera scelta, se usato in un
certo modo.
Consenso informato e sperimentazioni
Vorrei fare un esempio. Supponiamo di trovarci in una situazione in cui non esista in
letteratura una prova di livello primario, ossia uno studio controllato prospettico,
randomizzato sull'efficacia di un certo trattamento per la prevenzione di un evento molto
grave, potenzialmente fatale, ma che non necessariamente si vericherà. Supponiamo che
tuttavia in letteratura, pur non essendoci una prova definitiva, ci siano alcune evidenze
pubblicate che supportino l'efficacia del trattamento a scopo preventivo e soprattutto che
nella corrente pratica clinica, anche se non del tutto supportata da EBM, si attui quella
determinata procedura. Supponiamo che la procedura sia potenzialmente rischiosa, ma che,
pur senza evidenze definitive, come già detto molti medici, nella pratica clinica
effettuino il trattamento.
Se uno sperimentatore decidesse di fare uno studio clinico per validare definitivamente la
metodica dovrebbe convincere i pazienti, o, se del caso i loro tutori, a dare il proprio
consenso a partecipare alla sperimentazione.
Ebbene, che cosa potrenbbe mai dire lo sperimenattore a questi pazienti? Dovrebbe spiegare
un sacco di cose su cui egli stesso non sa molto in termini rigorosi, dovrebbe spiegare
che gli esiti sono incerti, che incerti sono anche le risultanze di un eventuale diniego
ad effettuare il trattamento. Se, paradossalmente lo sperimentatore volesse in qualche
modo favorire un certo risultato potrebbe usare proprio il momento della concessione del
consenso informato per orientare la selezione dei pazienti verso un arruolamento o meno di
un certo tipo di pazienti, proprio usando l'asimmetria di rapporto e tutta la sua
drammatica carica emozionale.
Un aspetto particolare è quello del consenso informato e dell'uso del placebo nella
comune pratica clinica. Un recente lavoro di Nitzan U. e coll. (1) pubblicato a settembre
2004 sul BMJ ha valutato la pratica di somministrare placebo tra i medici e gli
infermieri. Solo ai più sprovveduti sarà apparso strano che Il 60% degli 89 medici e
infermieri intervistati avesse dichiarato di aver dato ai propri pazienti un placebo e
più di un terzo di averlo prescritto almeno per una volta al mese. La maggior parte dei
pazienti non sapeva di prendere un placebo: il 68% degli operatori aveva detto che si
trattava di un farmaco vero, il 17% non aveva detto nulla, l11% aveva detto che si
trattava di una cura non specifica, il 4% aveva detto la verità. Indipendentemente dai
motivi che avevano spinto gli operatori ad utilizzare placebo è del tutto ovvio che un
vero consenso informato avrebbe precluso l'impiego di questo strumento, così diffuso tra
i medici. Insomma la medicina è il medico quindi il consenso informato vero è quello di
dare al paziente tutte le informazioni affinchè possa esercitare una scelta consapevole
sul medico cui affidarsi.
La posizione politically correct di oggi può essere riassunta in questa affermazione che
funge da presentazione di un convegno tenutosi a Cesena nel 2002 sulla comunicazione
medico-paziente.
E necessario abbandonare ogni nostalgia per lanacronistico paternalismo
medico e creare una modalità di relazione tra medico e paziente basata sulla cosiddetta
alleanza terapeutica.
Il paziente da semplice destinatario delle decisioni mediche è divenuto protagonista,
assieme ovviamente al suo medico, scegliendo egli stesso, in base ai propri stili di vita
e convinzioni, la terapia più adatta a sè tra quelle proposte.
Il processo decisionale in medicina, oggi, deve essere frutto della stretta interazione
tra competenza tecnico-scientifica, propria del medico, ed aspetti di pertinenza dellindividuo
che riguardano le sue libertà personali.
I principi in causa sono quelli della libertà e dignità della persona umana e quindi dei
diritti fondamentali dellindividuo.
Per questo il consenso informato non deve essere inteso come mero fatto formale, ma
diviene parte integrante dellatto medico costituendone un aspetto imprescindibile e
qualitativamente significativo.
Queste affermazioni sono la quintessenza dell'apoditticità del politicamente corretto. La
realtà clinica quotidiana smentisce, ogni giorno, questi meravigliosi statements. L'unica
vera libertà possibile in medicina è quella di avere più informazioni possibili per
scegliere e la possibilità reale di scegliere il medico. E' a mio avviso assolutamente
necessario smantellare l'immenso cumulo di procedure che, quotidianamente, in nome di
libertà tanto teoricamente inalienabili, quanto concretamente negate, ci plagiano fino a
farci credere che esiste solo quel sistema. Ma quel sistema è proprio quello che ci
avvelena la vita, che contribuisce ad imbarbarire le relazioni interpersonali, a rendere
il vivere difficile, convulso, costosissimo e spesso insopportabile.
Luca Puccetti
1) Nitzan U, Lichtenberg P Questionnaire survey on use of placebo. BMJ. 2004 Sep 17