PILLOLE di Medicina Telematica Giugno 2004
A cura di Daniele Zamperini, Raimondo Farinacci, Luca Puccetti
APPROFONDIMENTI
Consensus Conference di Firenze sull' utilita dello screening del tumore prostatico mediante dosaggio del PSA (17.5.2003)
edito a cura di:
Associazione Italiana di Epidemiologia, Associazione Italiana di Medicina Nucleare,
Associazione Italiana di Oncologia Medica, Associazione Italiana Medici di Famiglia,
Associazione Urologi Italiani, CSPO Istituto Scientifico della Regione Toscana, Gruppo
Italiano per lo Screening del Cervicocarcinoma, Gruppo Uro-oncologico del Nord Est,
Società Italiana di Andrologia, Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia
Molecolare Clinica, Società Italiana di Chirurgia Oncologica, Società Italiana di
Genetica Umana, Società Italiana di Medicina Generale, Società Italiana di
Psico-oncologia, Società Italiana di Radiologia Medica, Società Italiana di Statistica
Medica ed Epidemiologia Clinica, Società Italiana di Urodinamica, Società Italiana di
Urologia Oncologica, Società Urologia Nuova
La maggior parte dei Registri Tumori fa rilevare unaumentata incidenza del
carcinoma prostatico. Da circa venti anni, prima negli USA e Canada, e da circa 10 anni,
anche se in forma meno evidente e più lenta, in molti paesi occidentali industrializzati,
lincidenza ha subito un rapido aumento, grossolano, in certi paesi fino a circa 10
volte, per poi diminuire nuovamente fino ad attestarsi su valori di circa 1.5-2 volte
rispetto a quella attesa in base al trend storico degli ultimi 30 anni (1). Il fenomeno è
stato spiegato essenzialmente con laumentato uso, in questi paesi, del dosaggio
dellantigene prostatico specifico (PSA), in forma di screening
"opportunistico", con conseguente diagnosi anticipata di un numero molto elevato
di carcinomi asintomatici e preclinici. La mortalità sembra non essersi invece
sostanzialmente modificata (1). La discrepanza tra laumento grossolano
dellincidenza e la sostanziale stabilità della mortalità (un limitato flesso
osservato negli ultimi anni in alcuni paesi non è necessariamente da ascrivere alla
diagnosi precoce mediante PSA, essendo da molti spiegato con il miglioramento del
controllo mediante terapia, specie nelle forme avanzate), che perdura oltre un decennio
dopo il picco di incidenza, suggerisce che lanticipazione diagnostica causa del
picco di incidenza sia mediamente di almeno 10 anni. Tenendo conto della aspettativa di
vita relativamente limitata in alcune fasce di età oggetto dello screening
opportunistico, lelevata anticipazione diagnostica suggerisce la possibilità che
parte dei carcinomi identificati in tal modo sia di fatto "sovradiagnosticata",
"latente", dotata cioè di scarsa aggressività e, in assenza di screening,
destinata a non manifestarsi clinicamente nella vita (2). Lesistenza nelluomo
di una elevata prevalenza di carcinomi "latenti" (oltre il 30% in maschi oltre i
50 anni di età) è ben documentata da studi autoptici di popolazione (3).
Poiché al momento non appare prevedibile una riduzione di incidenza del carcinoma della
prostata attraverso una prevenzione primaria efficace, la prevenzione secondaria
(screening, spontaneo, opportunistico o organizzato che sia) potrebbe rappresentare,
assieme alla terapia, il mezzo fondamentale per influire sulla storia naturale della
malattia, riducendone la mortalità. Il test di screening che appare più confacente allo
scopo, per considerazioni complessive di costi, convenienza e accuratezza diagnostica, è
il PSA, un test semplice e relativamente poco costoso, che pure necessità un rigoroso
controllo di qualità della sua determinazione.
Peraltro, perché una procedura di screening sia accettabile, sia a livello individuale
che di popolazione, necessita che lefficacia (riduzione della mortalità) e il
rapporto costi/benefici dello screening siano confermati oltre ogni dubbio. La sola
dimostrazione di una anticipazione diagnostica, che di per sé stessa comporta un aumento,
in parte o del tutto solo apparente (lead time bias) della sopravvivenza dalla diagnosi,
non può essere sufficiente a garantire lefficacia dello screening (riduzione effe
ttiva della mortalità): di questo esistono esempi molteplici nella storia dello screening
oncologico (screening del ca. polmonare, screening mammografico <50 anni,
autopalpazione).
In genere, la metodologia più accreditata per la dimostrazione di efficacia di uno
screening oncologico è lo studio (trial) prospettico controllato (randomizzato). Studi
simili in corso in Europa (ERSPC) e in USA (PLCO), hanno arruolato un ingente numero di
soggetti (oltre 200.000) e dovrebbero produrre i primi dati relativi allimpatto
dello screening sulla mortalità e sulla qualità della vita non prima del 2005, più
verosimilmente verso il 2008 (4). Fino ad allora, e forse per qualche anno ancora, non
sarà possibile definire con certezza se lo screening sia utile o meno. Levidenza di
riduzione di mortalità suggerita da studi non controllati (5) o controllati (6) di
screening è stata oggetto di molte critiche in letteratura (disegno di studio e modalità
di valutazione) e non sembra sufficientemente affidabile, sul piano scientifico, per
supportare la raccomandazione dello screening come pratica corrente, soprattutto
considerando che altri studi non controllati (ad es. studio comparativo
Seattle/Connecticut (7)) non confermano un impatto sulla mortalità. Peraltro tutti questi
studi e altri studi pilota di screening hanno ampiamente dimostrato che
lanticipazione diagnostica ottenibile è molto elevata (oltre 10 anni) ed è stato
stimato che una porzione rilevante dei casi diagnosticati dallo screening non era
destinata a manifestarsi clinicamente nella vita. Una simile sovradiagnosi, stimata a
seconda della aggressività dello screening dal 50% (1 ca. "latente" ogni due
ca. potenzialmente letali) al 300% (3 ca. "latenti" per ogni ca. potenzialmente
letale) (8), ha come conseguenza un "sovratrattamento", essendo a tuttoggi
impossibile distinguere un ca. "latente" da un ca. potenzialmente letale. La
sovradiagnosi e il sovratrattamento costituiscono degli effetti negativi rilevanti dello
screening, sia per la loro frequenza che per la loro importanza, anche per le implicazioni
e i costi psicologici (ansia, tensione, isolamento) e la morbilità psicosociale
(possibili disturbi della sessualità, disturbi depressivi). Considerando che lo screening
basa la sua ipotesi di efficacia sulla intenzione di diagnosi e terapia precoce, a
complicare ulteriormente il quadro sono insorte recentemente incertezze anche sulla
strategia ottimale da seguire nelle neoplasie iniziali (chirurgia, radioterapia, watchful
waiting) (10).
E evidente che lo screening ha "comunque" dei considerevoli aspetti
negativi (sovradiagnosi, con importanti implicazioni psicologiche, e sovratrattamento con
possibile deficit erettile, incontinenza, ad alto impatto sulla qualità di vita) e quindi
una sua attuazione non può prescindere, per motivi etici, da una dimostrazione della sua
efficacia e da una valutazione del bilancio tra effetti negativi e positivi (9). Non
stupisce che molti consessi scientifici nazionali (11,12,13,14,15), non ultima la
Comunità Europea (16), abbiano ribadito la non eticità dello screening quale pratica
corrente in assenza di una dimostrazione di efficacia.
Peraltro, alcune autorevoli associazioni come lAssociazione Americana di Urologia
(AUA) e lAssociazione Americana per il Cancro (ACS) hanno prodotto raccomandazioni
relative allopportunità del dosaggio del PSA nei maschi sopra i 50 anni di età.
Questo e una diffusa campagna a favore dello screening da parte dei media e di
"testimonial" importanti, hanno fatto sì che, certamente negli USA ma
recentemente anche in Europa, lo screening "opportunistico" si sia molto diffuso
(17,18). Ciò ha sollevato notevoli polemiche, essenzialmente motivate dalla
considerazione che tale screening espone i soggetti esaminati ai rischi sopraindicati
dello screening, senza che, in base allevidenza esistente, si possa promettere loro
un beneficio verosimile né, tanto meno, quantizzarlo.
Altra cosa è, ovviamente, luso del PSA in ambito clinico, nelloccasione di
una consultazione medica, in quanto in questa circostanza il medico ha gli elementi
anamnestici (esiti di altri test, precedenti dosaggi del PSA, valutazione di fattori di
rischio e familiarità) che gli consentono di valutare lopportunità del dosaggio
del PSA anche in assenza di sintomi di neoplasia, nonchè la possibilità di informare il
paziente sui pro e sui contro di tale indagine. Non cè dubbio poi che il PSA sia di
grande utilità per la diagnosi differenziale di quadri che suggeriscano anche un minimo
dubbio di neoplasia, in associazione ad altri accertamenti, per aumentare
laccuratezza diagnostica complessiva.
Lassemblea dei rappresentanti delle Associazioni Scientifiche intervenute alla
"Consensus Conference" ha condiviso allunanimità le seguenti
raccomandazioni conclusive:
1. Non esiste al momento, in base allevidenza scientifica, indicazione
allesecuzione dello screening di soggetti asintomatici mediante PSA, sia quale
provvedimento sanitario di "popolazione" (invito attivo di residenti selezionati
in base alletà), che "spontaneo" (raccomandazione alla popolazione di
sottoporsi al dosaggio periodico del PSA).
2. Il PSA resta un valido presidio, in occasione di consultazione medica, per la diagnosi
differenziale del carcinoma prostatico ove esista un sospetto clinico anche minimo di tale
patologia.
3. Il dosaggio del PSA in soggetti asintomatici potrà essere prescritto in occasione di
consultazione medica, a giudizio del sanitario, in base agli elementi clinici a sua
conoscenza e previa informazione del paziente sui pro e contro della determinazione del
marcatore in assenza di un sospetto diagnostico o di fattori di rischio .
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