Cortisone subito, nell' Artrite Reumatoide
Nell'artrite reumatoide iniziale un trattamento combinato di prednisone,
metotressato e salazopirina è efficace quanto infliximab e metotressato nel
controllo delle erosioni e dell'attività di malattia.
Per valutare quale fosse il miglior trattamento per l'artrite reumatoide
iniziale 508 pazienti, con età media di 54 anni, prevalentemente di sesso
femminile, con sintomi esorditi mediamente da 23 settimane sono stati
randomizzati a ricevere uno dei 4 possibili trattamenti:
1) solo farmaci di fondo (DMARDs), cominciando con il metotressato (n=126)
2) farmaci di fondo cominciando con metotressato ed aggiungendo a scalini altri
DMARDs e prednisone in base alla risposta (n=121)
3) associazione di metotressato, prednisone e salazopirina (n=133)
4) metotressato più infliximab (n=128).
I risultati ad un anno indicano che i pazienti dei gruppi 3 e 4 hanno mostrato
una minore progressione radiologica delle erosioni e sono stati osservati meno
pazienti con erosioni rispetto ai pazienti dei gruppi 1 e 2. Anche per quanto
riguarda la clinica e la qualità di vita i risultati migliori sono stati
osservati nei pazienti dei gruppi 3 e 4 senza un aumento degli effetti
collaterali.
Gli Autori concludono che nell'artrite reumatode iniziale una terapia di
combinazione con prednisone o infliximab garantisce un miglioramento clinico più
veloce e pronunciato ed una minore progressione delle rosioni rispetto a regimi
terapeutici con DMARDs sequenziali o a scalini.
Fonte: Arthritis & Rheumatism 2005; 52:3381-3390.
doi: 10.1002/art.21405
Commento di Luca Puccetti
Il tempo è galantuomo! La scuola italiana ha nei fatti frequentemente
disapplicato il modello a scalini proposto dagli anglosassoni e molti pazienti
sono messi subito in trattamento con cortisone, DMARDs e FANS. L'esperienza
ormai pluridecennale di chi scrive è che la malattia vada subito aggredita
senza aspettare che si "incattivisca". Per anni il cortisone è stato
demonizzato a vantaggio dei DMARDs, ora si è finalmente capito che questo
atteggiamento è poco lungimirante e che in molti pazienti la strategia migliore
è quella di associare subito i DMARds ed il cortisone. Tutto sommato il
cortisone è un farmaco ben conosciuto di cui sappiamo pregi e difetti e che per
molti versi ha effetti collaterali, pur importanti, che possono essere
controllati o comunque ridotti usando dosi appropriate, schemi di trattamento in
dose unica mattutina e associando farmaci con effetti antagonisti (diuretici,
calcio, vitamina D, bisfosfonati, antidiabetici). Se si pensa poi che un
trattamento con prednisolone costa pochi euro l'anno contro le migliaia
necessarie per l'infliximab i risultati dello studio appaiono ancor più
importanti per un'applicazione su vasta scala. Nello stesso numero di Arthritis
and Rheumatism altri due lavori confermano il ruolo del cortisone nell'artrite
reumatoide iniziale.
Nel primo studio (1) sono stati considerati 250 pazienti con AR esordita da meno
di un anno che sono stati randomizzati a ricevere 7,5 mg/die di prednisolone o a
non riceverlo. A due anni l'indice di Sharp, che valuta le erosioni, era
significativamente inferiore nel gruppo prednisolone rispetto a gruppo che non
lo assumeva (P = 0.019). Il 55,5% dei pazienti del gruppo prednisolone aveva
raggiunto la remissione, rispetto al 32,8% di coloro che non lo assumevano (P =
0.0005). La perdita di massa ossea è risultata simile nei due gruppi. Anche
questo studio indica che il cortisone, pur dato ad una dose non proprio bassa,
riduce non solo i sintomi, ma anche la progressione della malattia, senza
causare una sostanziale perdita di massa ossea. A tal riguardo c'è da osservare
che l'artrite stessa genera perdita di massa ossea, non solo iuxtarticolare, ma
generalizzata per l'attivazione citochinica, e che controllare l'attività di
malattia significa anche diminuire la perdita di massa ossea. Tuttavia non
possiamo non ricordare che il dato densitometrico in corso di trattamento
steroideo è molto più inaffidabile al fine di valutare la resistenza ossea,
rispetto ai valori riscontrati in soggetti non sottoposti ad un trattamento
steroideo. Questo significa che anche valori densitometrici non molto ridotti
possono tradursi ugualmente in un'aumentata fragilità ossea in quanto il
trattamento corticosteroideo determina un'alterazione strutturale e non solo
densitometrica dell'osso, che predispone maggiormente alle fratture.
Nel secondo studio (2) 192 pazienti con AR esordita da meno di 2 anni sono stati
randomizzati a ricevere, oltre alla terapia standard con DMARDs, 5 mg/die di
prednisolone o placebo. A 24 mesi anche in questo studio la progressione
radiologica era significativamente inferiore nel gruppo prednisolone che
mostrava anche un miglior controllo clinico dell'attività di malattia ed un
numero maggiore di soggetti in remissione. In questo studio gli effetti
collaterali sono stati più frequenti nel gruppo prednisolone: aumento di peso 4
casi vs 0, ipertensione 6 casi vs 2, glaucoma 3 vs 0, sindrome di Cushing 5 vs
0, ulcera gastrica (solo in utilizzatori anche di FANS) 3 vs 0.
Nessuna nuova frattura vertebrale è stata osservata nei due gruppi. In questo
studio randomizzato e controllato con placebo la riduzione della progressione
del danno radiologico è stata ottenuta a caro prezzo. Probabilmente molti di
tali effetti collaterali avrebbero potuto essere evitati o ridotti adottando
strategie di follow-up stretto ed usando farmaci, quali diuretici e PPI, per
controbilanciare gli effetti negativi degli steroidi. Inoltre non è detto che
mantenere una dose fissa di steroidi, indipendentemente dalla clinica, sia una
strategia ottimale. Nella pratica clinica è spesso opportuno adattare la dose
sia in base all'attività di malattia, che al pattern di effetti collaterali. E'
esperienza comune che l'azione cushingogena e sodio ritentiva dei
corticosteroidi sia molto variabile da soggetto a soggetto.
Bibliografia:
1) Arthritis & Rheumatism 2005; 52:3360-3370.
doi: 10.1002/art.21298
2) Arthritis & Rheumatism 2005; 52:3371-3380.
doi: 10.1002/art.21421