Si puo’ derogare dal Piano Terapeutico
Il Piano
Terapeutico della struttura pubblica non e’ tassativo ma puo’ consentire
delle deroghe. La violazione non costituisce errore gravemente colposo, ma
semplice irregolarita’ amministrativa se giustificabile dalle condizioni
cliniche del paziente.
I fatti: veniva convenuta in giudizio presso la Corte dei Conti della Liguria un medico di base convenzionato, a cui veniva contestato di aver effettuato prescrizioni di ossigeno liquido a favore del proprio assistito in eccedenza rispetto ai piani terapeutici formulati dalle competenti strutture sanitarie ospedaliere.
Il medico, a propria difesa, sottolineava diversi problemi tecnici (caratteristiche dei contenitori e della valvole, temperatura ambientale, la fisiologica dispersione del gas ecc.) che interferivano con l’ effettivo consumo dell’ ossigeno liquido, nonche’ i problemi clinici legati alle frequenti riacutizzazioni della patologia polmonare, che causavano un maggior consumo rispetto a quanto pianificato.
La Procura riteneva insufficienti tali argomentazioni
e, ritenendo il medico colpevole di danno erariale, ne richiedeva il rimborso.
Secondo la Procura, il medico che non osserva le disposizioni stabilite nel P.T.
pone in atto un comportamento caratterizzato da errore professionale
gravemente colposo, in quanto rientra nella minima diligenza e perizia
effettuare prescrizioni farmaceutiche in conformità ad un programma
terapeutico contenente indicazioni estremamente precise come quello relativo al
caso in esame.
La difesa
evidenziava invece, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte dei Conti, che
le prescrizioni di ossigeno da parte del medico di base, in eccedenza rispetto
alle quantità previste nel piano terapeutico, non costituiscono di per sé
fonte certa di danno per la finanza pubblica. Tale scostamento diventa
dannoso solo se ingiustificato e non corrispondente al fabbisogno del paziente,
per cui l'esistenza di un danno va apprezzata con riferimento alle reali
necessità dell'assistito.
La Corte accoglieva
la tesi difensiva.
La Corte, nell’ esame del caso, rilevava infatti
che “ l’'art. 7 del D.M. 1°
febbraio 1991 prevede che l'accertamento delle patologie che determinano
l'insufficienza respiratoria cronica “deve essere operato esclusivamente nelle
strutture universitarie o nelle strutture ospedaliere ed ambulatoriali a
gestione diretta o convenzionate obbligatoriamente”. Aggiunge poi il
menzionato D.M. che “dette strutture provvedono, altresì a fornire alla
valutazione dei medici curanti gli indirizzi terapeutici che si
riconnettono alla suddette forme morbose… la chiara formulazione letterale
dell'art. 7 del D.M. 1° febbraio 1991 sembra riconoscere al medico di
base una certa discrezionalità nella prescrizione dei trattamenti di
ossigenoterapia, atteso che la norma prevede che gli indirizzi terapeutici
elaborati dalle predette strutture siano offerti alla valutazione dei
medici curanti.”.
“In ogni
caso,-specifica la Corte-
quand'anche si volesse accedere alla tesi della Procura… è evidente che il
superamento dei limiti autorizzati non comporta necessariamente un danno
alla finanza pubblica. Occorre infatti che i quantitativi prescritti siano
eccessivi rispetto alle reali necessità terapeutiche del paziente. In
caso contrario, la prescrizione del farmaco in misura adeguata alle
necessità dell'assistito, ancorché disposta in violazione di autorizzazioni a
carattere interno, non comporta danno, bensì mera irregolarità
amministrativa. Nel caso di specie la Procura si è limitata a dimostrare il
superamento dei quantitativi “autorizzati”, ma non ha fornito alcun
concreto elemento dal quale si possa desumere l'inutilità o la dannosità del
trattamento erogato in eccedenza.
In un quadro patologico così compromesso, non è chi non veda, al di là del responso dei dati emogasanalitici su cui si è basato il secondo piano terapeutico, la legittimità di un trattamento ossigenoterapico esteso alle 24 ore al giorno, se ciò può essere utile, non fosse altro che per ragioni umanitarie, a lenire la sofferenza di un malato terminale.
D'altra parte,
come è stato sopra evidenziato, è la legge stessa che assegna ai piani
terapeutici il carattere di indicazioni da fornire “alla valutazione dei
medici curanti”, riconoscendo a questi ultimi, che operano a diretto
contatto con il malato e hanno la visione complessiva delle sue reali
condizioni, fisiche, ambientali e psicologiche, quel margine di
discrezionalità nella valutazione degli indirizzi terapeutici provenienti
dalle competenti strutture sanitarie, che consenta loro di adottare le soluzioni
terapeutiche che meglio si attagliano alla fattispecie concreta.”
In base a
tali considerazioni il medico e’ stato assolto da ogni addebito.
Daniele Zamperini – Guido Zamperini