Cassazione
- Sezione Prima Civile
Ordinanza
20 aprile 2005 n. 8291/2005
Oggetto.
Diritti
fondamentali - Eutanasia - Interdetto - Tutore - Curatore speciale - Necessità
Massima della Cassazione.
La
Corte esamina per la prima volta la questione dell'eutanasia; e la affronta in
un caso nel quale il padre, in qualità di tutore della figlia interdetta, aveva
proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della corte d'appello con
cui, in sede di reclamo, era stata rigettata la sua istanza di autorizzazione
alle interruzione delle cure di alimentazione artificiale della figlia medesima
che si trova in stato vegetativo permanente irreversibile per effetto di un
trauma cranico-encefalico riportato a seguito di un incidente stradale occorso
nel lontano 1992.
La
Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 8291 del 2005, aderendo alle
conclusioni del procuratore generale, dichiara inammissibile il ricorso, in
quanto non notificato ad alcuno, tenuto conto che nella specie non ci si trova
in presenza di un procedimento nel quale non sia individuabile un soggetto
portatore di un interesse diverso da quello attribuito al soggetto istante.
Al
riguardo la Corte afferma che il provvedimento di autorizzazione richiesto, che
il tutore afferma corrispondente all'interesse dell'interdetto, può non
corrispondervi: “lo stabilire se sussista l'interesse (al provvedimento
autorizzatorio) – prima che l'attuabilità dello stesso giuridicamente –
presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della morte, che trovano il
loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque (anche)
extragiuridiche, quindi squisitamente soggettive: con la conseguenza che
giammai il tutore potrebbe esprimere una valutazione che, in difetto di
specifiche risultanze, nella specie neppure analiticamente prospettate, possa
affermarsi coincidente con la valutazione dell'interdetta”.
E
siccome deve ritenersi che l'interdetta nella specie non sia in condizione di
esprimere la propria valutazione, e quindi la propria scelta, secondo la Corte
deve trovare applicazione l'art. 78 cod. proc. civ., che prevede la nomina di
un curatore speciale al rappresentato quando vi è conflitto di interessi con il
rappresentante. Difatti, in mancanza di specifiche disposizioni, non è
configurabile un generale potere di rappresentanza in capo al tutore con
riferimento agli atti personalissimi. L'affermata sussistenza di altro soggetto
quale necessario contraddittore nel giudizio costituisce, secondo la Corte,
ragione sufficiente per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Nella sentenza.
Deve
ritenersi che l'interdetta nella specie non sia in condizione di esprimere la
propria valutazione, e quindi la propria scelta, deve trovare applicazione
l'art. 78 c.p.c., che prevede la nomina di un curatore speciale al
rappresentato " ...quando vi è conflitto di interessi con il
rappresentante".
Le
numerose norme rinvenibili nell'ordinamento che conferiscono al tutore
specifici poteri in materie attinenti ad interessi strettamente personali pur
se di carattere non altrettanto essenziale quale quello in esame
dell'interdetto per infermità ( art. 119 cod. civ., per l'impugnazione del
matrimonio; art. 245 cod.civ. in tema di disconoscimento della paternità; art.
264 cod.civ. in tema di impugnazione del riconoscimemto del figlio naturale da
parte di chi è stato riconosciuto; art. 273 cod.civ., in tema di dichiarazione
giudiziale di paternità o maternità naturale; art. 13 legge 22 maggio 1978, n.
194, in tema di interruzione della gravidanza), appaiono elementi sintomatici
della non configurabilità, in mancanza di specifiche disposizioni, di un
generale potere di rappresentanza in capo al tutore con riferimento ai cc.dd.
atti personalissimi (per una ipotesi in cui questa Corte ha avuto occasione di
escludere la proponibilità della domanda di divorzio per l'interdetto ad opera
del tutore, riconoscendogli invece il potere di chiedere la nomina di un
curatore speciale ai fini della proposizione della domanda di divorzio, v.
sent. n. 9582 del 2000).
La
conferma della inesistenza, in capo al tutore, di una rappresentanza generale
degli interessi dell'interdetto con riguardo a siffatto genere di atti si
rinviene nella previsione codicistica della necessaria nomina, da parte del
giudice tutelare, non appena avuta notizia del fatto da cui deriva l'apertura
della tutela, oltre che del tutore, anche del protutore (art. 346 c.c.), nonché
nelle ulteriori previsioni che "il protutore rappresenta il minore nei
casi in cui l'interesse di questo é in opposizione con l'interesse del tutore".
Sentenza.
Presidente
R. De Musis, Relatore M.R. San Giorgio
Ritenuto in fatto
Con
provvedimento in data 20 luglio 2002, il Tribunale di Lecco, ritenuta la
legittimazione attiva in capo a L. M., in qualità di tutore della figlia
interdetta P. K., rigettò il ricorso, proposto ex art. 732 cod.proc.civ., con
il quale lo stesso, deducendo la irreversibilità, secondo i criteri della
scienza medica, dello stato vegetativo permanente in cui la a predetta figlia
si trovava, per effetto di un trauma cranico encefalíco riportato a seguito di
un incidente stradale occorso nel lontano 1992 stato in relazione al quale già
nel 1999 l'L. M. aveva una prima volta richiesto la interruzione delle cure che
ne consentivano la protrazione, ed in particolare dell'alimentazione
artificiale, aveva avanzato nuova istanza ai fini di ottenere l'autorizzazione
a detta interruzione, sottolineando la necessità di sottrarre la figlia alle
condizioni di vita disumane e degradanti nelle quali era costretta a proseguire
la propria esistenza.
Rilevava
il Tribunale che la nozione di cura del soggetto incapace implica un quid di
positivo, volto comunque alla conservazione della vita del soggetto stesso, con
la conseguenza che sarebbe contraddittorio attribuire al tutore la potestà di
compiere atti che implichino di necessità la morte del soggetto; ed aggiungeva
che l'ordinamento giuridico sottende una totale difesa della vita umana, e che
l'autorizzazione al tutore, e cioè a soggetto diverso dal diretto interessato,
a far cessare ogni forma di somministrazione alimentare non trova, allo stato
della legislazione, adeguato fondamento giuridico.
Avverso
detto decreto, l'L. M. propose reclamo alla Corte d'appello di Milano,
censurando la ricostruzione della funzione del tutore operata dal Tribunale.
La
Corte d'appello di Milano, sezione delle persone e della famiglia, con decreto
del 10 dicembre 2002, rigettò il reclamo, facendo riferimento alla
inutilizzabilità diretta del principio di autodeterminazione nel caso del
paziente in stato vegetativo permanente, ed al ruolo del tutore, sottolineando
il valore morale delle direttive anticipate di trattamento, ma avvertendo la
mancanza di regole allo stato, e perciò escludendo la possibilità di adottare
una interpretazione integratrice nella specie, pur nell'auspicio della
predisposizione da parte del legislatore degli strumenti adeguati per la
protezione della persona ed il rispetto del suo diritto di autodeterminazione.
Avverso
tale decisione, l'L. M. ha proposto ricorso per cassazione, non notificato ad
alcuno.
Il
ricorso è stato trattato in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.
Considerato
in diritto
Lamenta
il ricorrente la violazione degli artt. 357 e 424 cod.civ., in relazione agli
artt. 2, 13 e 32 Cost., ed omessa ed insufficiente motivazione.
Sottolinea
come la propria figlia non sia in grado di esprimere alcun consenso, riguardo
ad atti che si configurano come invasivi della sua personale integrità
psico-fisica, e richiama la giurisprudenza costituzionale sull'attinenza della
tutela della libertà personale a qualunque intromissione sul corpo o sulla
psiche dell'individuo cui questi non abbia consentito. Pone l'accento sulla
tutela della dignità umana, inscindibile da quella della vita stessa, come
valore costituzionale, e richiama, tra l'altro, l'art. 32 Cost., che preclude
trattamenti sanitari che possano violare il rispetto della persona umana, la
cui perdita, in caso di soggetto in stato vegetativo permanente, è in re ipsa.
Chiede in subordine che sia sollevata questione di legittimità costituzionale,
in riferimento agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione, dell'art. 357
cod.civ., o di quelle altre norme che siano da interpretare in modo tale da non
consentire la cessazione dei trattamenti di alimentazione artificiale in atto.
Il
Procuratore Generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto dichiararsi la
inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad alcuno e privo dei
requisiti del ricorso per cassazione.
Tali
conclusioni sono state contestate dal ricorrente con una memoria depositata
nella imminenza della data fissata per la camera di consiglio, nella quale, in
particolare, si esclude la necessità della notifica del ricorso al P.G. a quo.
La
eccezione del Procuratore Generale appare meritevole di accoglimento.
La
notificazione del ricorso per cassazione, in quanto indispensabile per la
instaurazione del rapporto processuale, costituisce elemento la cui mancanza
determina la inammissibilità del ricorso.
Tale
principio, affermato per i procedimenti contenziosi ordinari, deve ritenersi
operante anche nei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio.
Per
questi ultimi e tale è quello di specie questa Corte (ord. n. 6167 del 2002) ha
affermato l'applicabilità di detto principio nei procedimenti con pluralità di
parti, rilevando che la notificazione non occorre solo allorchè ricorra
l'ipotesi di procedimento di volontaria giurisdizione unilaterale,e cioè di
procedimento nel quale non sia individuabile un soggetto portatore di un
interesse diverso da quello attribuito al soggetto istante.
Occorre
pertanto stabilire se nella specie ricorra quest'ultima ipotesi.
Ed
al riguardo va sottolineato che, se a tale questione si darà risposta negativa,
e cioè se si riterrà che il il presente giudizio è plurilaterale: a) sarà
irrilevante, al fine di cui si discute, che le parti individuate quali
contraddittori necessari non abbiano partecipato ai precedenti giudizi, e ciò
perché la loro presenza nell'attuale giudizio sarebbe indispensabile per la
costituzione del relativo rapporto processuale, anche se l'unica decisione
adottabile sarebbe la rilevazione del difetto di contraddittorio nei precedenti
gradi di merito; b) non sarà consentita non essendo prevista la rimessione in
termini (richiesta in memoria), la quale è stabilita dall'art. 184 bis c.p.c.
per casi specifici e non è applicabile per la rinnovazione della notifica del
ricorso che non sia stato notificato ad alcuno.
Per
stabilire se sussistano interessi diversi o addirittura contrapposti a quello
oggetto della causa, e, conseguentemente, se sussistano altri soggetti
contraddittori necessari, occorre individuare l'oggetto della controversia.
Il
tutore, ritenendo che l'interdetta versi da moltissimi anni in stato meramente
vegetativo, nel quale a suo avviso è mantenuta mediante presidi sanitari, e che
tale stato, in quanto escludente la dignità umana, fa escludere la ricorrenza
della vita intesa nella sua portata minima imprescindibile, ha chiesto
l'autorizzazione alla cessazione di detti presidi.
Va
rilevato che tale cessazione dovrebbe altrimenti non vi sarebbe motivo per
l'autorizzazione alla stessa condurre a morte il soggetto.
Sulla
base di tale individuazione della controversia occorre stabilire se sussistano
altri soggetti interessati oltre l'istante.
Il
tutore evidentemente agisce ai sensi del combinato disposto degli artt. 424 e
357 c.c., secondo i quali il tutore "ha la cura della persona
del...".
Premesso
che costituisce questione di merito stabilire se l'azione esercitata, come
sopra individuata, possa essere ricompresa nell'indicato potere del tutore, è
di immediata evidenza che il provvedimento di autorizzazione richiesto, che il
tutore afferma corrispondente all'interesse dell'interdetto, possa invece non
corrispondervi.
Ed
infatti, lo stabilire se sussista l'interesse (al provvedimento autorizzatorio)
prima che l'attuabilità dello stesso giuridicamente presuppone il ricorso a
valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro fondamento in
concezioni di natura etica o religiosa, e comunque (anche) extragiuridiche,
quindi squisitamente soggettive: con la conseguenza che giammai il tutore
potrebbe esprimere una valutazione che, in difetto di specifiche risultanze,
nella specie neppure analiticamente prospettate, possa affermarsi coincidente
con la valutazione dell'interdetta.
A
questa stregua, premesso, per quanto ora esposto, che deve ritenersi
che l'interdetta nella specie non sia in condizione di esprimere la propria
valutazione, e quindi la propria scelta, deve trovare applicazione l'art. 78
c.p.c., che prevede la nomina di un curatore speciale al rappresentato "
...quando vi è conflitto di interessi con il rappresentante" .
Ad
ulteriore supporto di tale conclusione, va rilevato che le numerose
norme rinvenibili nell'ordinamento che conferiscono al tutore specifici poteri
in materie attinenti ad interessi strettamente personali pur se di carattere
non altrettanto essenziale quale quello in esame dell'interdetto per infermità
( art. 119 cod. civ., per l'impugnazione del matrimonio; art. 245 cod.civ. in
tema di disconoscimento della paternità; art. 264 cod.civ. in tema di
impugnazione del riconoscimemto del figlio naturale da parte di chi è stato
riconosciuto; art. 273 cod.civ., in tema di dichiarazione giudiziale di
paternità o maternità naturale; art. 13 legge 22 maggio 1978, n. 194, in tema
di interruzione della gravidanza), appaiono elementi sintomatici della non
configurabilità, in mancanza di specifiche disposizioni, di un generale potere
di rappresentanza in capo al tutore con riferimento ai cc.dd. atti personalissimi
(per una ipotesi in cui questa Corte ha avuto occasione di escludere la
proponibilità della domanda di divorzio per l'interdetto ad opera del tutore,
riconoscendogli invece il potere di chiedere la nomina di un curatore speciale
ai fini della proposizione della domanda di divorzio, v. sent. n. 9582 del
2000) .
E
la conferma della inesistenza, in capo al tutore, di una rappresentanza
generale degli interessi dell'interdetto con riguardo a siffatto genere di atti
si rinviene nella previsione codicistica della necessaria nomina, da parte del
giudice tutelare, non appena avuta notizia del fatto da cui deriva l'apertura
della tutela, oltre che del tutore, anche del protutore (art. 346 c.c.), nonché
nelle ulteriori previsioni che "il protutore rappresenta il minore nei
casi in cui l'interesse di questo é in opposizione con l'interesse del
tutore" .
"Se
anche il protutore si trova in opposizione di interessi con il minore, il
giudice tutelare nomina un curatore speciale." (art. 360
c.c.).
E'
ben vero che le menzionate norme sono inserite nella "tutela dei
minori"; ma tale tutela è richiamata nella sua interezza per la
interdizione, alla quale pertanto é applicabile: l'art. 424 c.c., infatti,
sancisce che "le disposizioni sulla tutela dei minori ....si applicano...
alla tutela degli interdetti...".
Le
conclusioni raggiunte non contrastano né possono ritenersi derogate dalla
Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina, fatta ad Oviedo il 24
aprile 1997 della quale la legge 28 marzo 2001, n. 145 ha autorizzato la
ratifica dal momento che tale Convenzione prevede che il rappresentante legale
(o comunque un'apposita autorità od altro soggetto) possa esprimere il consenso
che l'incapace non è in condizione di dare (art. 6), ma non preclude ai singoli
Stati di fissare condizioni specifiche che essa Convenzione non ha previsto per
la validità della prestazione del consenso (sostitutivo).
L'affermata
sussistenza di altro soggetto quale necessario contraddittore nel giudizio
costituisce ragione sufficiente per la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso. Rimane pertanto assorbita la questione, proposta nella memoria,
relativa alla necessità o no della notifica del ricorso al P.G. a quo.
La
ravvisata inammissibilità del ricorso esclude l'esame del merito, e, quindi,
anche della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.
P.Q.M.
La
Corte dichiara inammissibile il ricorso.