Malati per forza? Gli eccessi della medicalizzazione
Un editoriale del BMJ lancia l'allarme sulla eccessiva medicalizzazione e
sulla continua riduzione dei valori di normalità della pressione arteriosa e
del colesterolo.
L'editoriale ricorda che già nel 1999 più di 800 medici inviarano una lettera
aperta all' Organizzazione Mondiale della Sanità mostrandosi preoccupati per le
linee guida emanate appunto dall'OMS che portavano ad un maggior uso di farmaci
antipertensivi con incremento della spesa farmaceutica ma benefici clinici
probabilmente limitati.
L'editoriale prosegue ricordando uno studio da cui risulta che, applicando le
attuali linee guida sull'ipertensione e sull'ipercolesterolemia, all'età di 24
anni circa la metà della popolazione norvegese dovrebbe essere considerata a
rischio e all'età di 49 anni questa percentuale sale al 90%. Tenuto conto che
l'aspettativa media di vita in Norvegia è di quasi 79 anni, se si dovessero
applicare le raccomandazioni delle linee guida la maggioranza degli adulti
dovrebbe essere trattata con farmaci per periodi lunghissimi (decenni).
Gli autori dell'editoriale non negano che i farmaci debbano essere usati nei
soggetti ad alto rischio, ma richiamano l'attenzione sul fatto che più si
abbassano le soglie di normalità più si fanno diventare malati soggetti a
rischio basso o medio-basso, con il pericolo di trattare un numero molto elevato
di soggetti per avere dei benefici piccoli. In realtà gli studi finora
disponibili hanno considerato periodi di trattamento sostanzialmente brevi
rispetto a quelli reali che dovrebbero essere di decenni e non sappiamo quali
potrebbero essere gli effetti collaterali a livello di popolazione di
trattamenti così prolungati. Altri punti considerati dagli autori sono:
1) gli effetti collaterali dei farmaci di solito tendono ad essere poco evidenti
negli RCT, disegnati soprattutto per mettere in evidenza end-point ben
specifici, ma sono aspetti da considerare con attenzione nella pratica
quotidiana
2) ci sono evidenze limitate sulla efficacia preventiva dei vari farmaci usati
contemporaneamente mentre il rischio di interazioni negative è reale
3) l'aumento dei costi potrebbe portare alla crisi di molti sistemi sanitari
Fonte: BMJ 2005 Jun 25; 330:1461.62
Commento di Renato Rossi
Il merito dell'editoriale di Westin e Heath è di puntare i riflettori sulla
medicalizzazione esasperata e sulla continua riduzione delle soglie di normalità
dei vari parametri biologici (pressione arteriosa, colesterolo, glicemia, ecc).
Del tutto recentemente una rivista rivolta al grande pubblico titolava: "La
glicemia giusta deve essere sotto 100".
La conseguenza di tutto questo è evidente: una sempre maggior quantità di
persone viene arruolata nella categoria dei malati o dei sani, ma in procinto di
ammalarsi. A parte le conseguenze psicologiche del cosidetto "effetto
etichetta" e l'aumento esponenziale della spesa sanitaria, uno degli
aspetti da considerare è quale può essere il reale beneficio in termini
clinici di questa spinta alla medicalizzazione a tutti i costi. Man mano che si
riduce la soglia del rischio oltre la quale prescrivere un trattamento
farmacologico aumenta il cosiddetto NNT cioè il numero di persone che è
necessario trattare per evitare un evento.
Supponiamo per esempio che un trattamento con statine riduca il rischio
cardiovascolare del 25%. Se si trattano soggetti con un rischio cardiovascolare
basale del 25% a dieci anni, l'NNT è di circa 7-8, se però si trattano
soggetti con un rischio basale del 10% l'NNT sale a 40. Dato che l'effetto della
statina è del tipo "tutto o nulla" (un evento cardiovascolare o si
evita o non si evita) un NNT di 40 vuol dire trattare inutilmente e per anni 39
persone, esponendole al rischio di effetti collaterali senza avere alcun
beneficio. I dati riferiti dal BMJ sono impressionanti: se si seguissero le
attuali linee guida circa 7-8 adulti ogni 10 dovrebbero essere considerati a
rischio e per essi si dovrebbe prendere in considerazione una terapia
farmacologica.
Anche se questa percentuale in Italia deve essere ridimensionata perchè è noto
che nelle popolazioni mediterranee il rischio è più basso che nelle
popolazioni nord-europee, forse è tempo di ripensamenti.
Commento di Luca Puccetti
La legge del contrappasso! La deificazione della EBM produce l'effetto paradosso
che applicandone pedissequamente i meravigliosi canoni, tutta la popolazione è
malata tranne che una piccola coda. Del resto, come già detto più volte, la
EBM è stata inventata e sospinta proprio da chi voleva mettere in evidenza
vantaggi marginali ed aveva bisogno di un meraviglioso sistema
epidemiologico-statistico per trasformare questi vantaggi (o svantaggi)
marginali in effetti clinicamente rilevabili e pertanto, secondo un tipico
condizionamento mentale, rilevanti. D'altro canto il colonialismo culturale ha
trasformato la nostra medicina, storicamente basata sulla pratica clinica della
gloriosa tradizione dei Giuseppe Moscati, in una sorta di medicina di massa
applicata con la pretesa di portare al singolo i vantaggi visti in una
popolazione. La concezione contrattualistica della medicna anglosassone, la
spinta delle ditte che devono vendere, l'enorme potere di pochi opinion leaders
inseriti nei posti chiave dei centri che fanno opinione, la massificazione
dell'informazione, la proliferazione di testate che pubblicano ogni cosa pur di
sopravvivere, la dipendenza dalla pubblicità, l'ossessiva cassa di risonanza
dei circuiti mediatici che ripetono e rilanciano quello che poche Agenzie fanno
sapientemente circolare, il ruolo nefasto dei mass media e delle
pseudoinformazioni di massa al pubblico, la lunga teoria di avvocati sfornati
dalle nostre povere Università cui non bastano più gli incidenti stradali per
vivere hanno determinato tutto questo: trasformare la popolazione dei paesi
avanzati, che hanno la più alta aspettativa di vita mondiale in gente malata
che non sa di esserlo e si ostina a campare nonostante i gravissimi fattori di
rischio cui è esposta.