"Scienza e Professione"
Mensile di informazione e varie attualita' - Reg.
Trib. Roma n. 397/2004 del 7/10/2004
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Rofecoxib: doveva essere ritirato prima? La saga continua...
(Di Luca Puccetti)
In un lavoro pubblicato anticipatamente ed interamente on line alcuni ricercatori
dell'Università di Berna e Paul Dieppe, dell'Università di Bristol riaccendono le
polemiche fornendo i risultati di una metanalisi sulla correlazione tra rofecoxib e
infarto miocardico. Gli Autori affermano che il farmaco avrebbe dovuto essere ritirato
anni prima e che il rischio di infarto non si verificherebbe solo dopo impiego prolungato
del farmaco. L'indice viene dunque puntato sia contro l'Azienda produttrice che contro gli
Enti regolatori che avrebbero omesso di effettuare un monitoraggio continuo e di
aggioranre i dati con i risultati degli studi che via via erano pubblicati. La Merck ha
risposto prontamente criticando la metodologia della metanalisi e accusando gli autori di
non aver considerato tutti i dati.
Sono stati identificati 18 studi randomizzati controllati e 11 osservazionali. Per la fine
del 2000 (52 infarti miocardici, 20742 pazienti) il rischio relativo considerando gli
studi controllati era 2,30 (95%CI 1,22-4,33, p=0,010) un anno dopo (64 eventi, 21432
pazienti) era 2,24 (1,24-4,02, p=0·007). Vi erano scarse possibilità che rischio
relativo differisse a seconda del tipo di gruppo di controllo (placebo, non-naprossene
FANS, o naprossene; p=0,41) o della durata del trial (p=0,82). Negli studi osservazionali,
l'effetto cardioprotettivo del naprossene era piccolo (valutazione cumulativa 0,86 [ 95%CI
0,75-0,99 ]) e non avrebbe potuto spiegare interamente i risultati dello studio VIGOR.
Questi dati indicano, secondo gli autori, che il rofecoxib sarebbe dovuto essere ritirato
parecchi anni prima.
Fonte: Lancet 2004 pubblicato on line
Link: http://image.thelancet.com/extras/04art10237web.pdf
commento di Luca Puccetti
Le accuse contenute nell'editoriale sono gravi. Gli autori sostengono che le evidenze per
ritirare o sospendere il rofecoxib erano già presenti dal 2000. Sostengono anche che il
rischio si evidenziava anche dopo pochi mesi di assunzione e non solo dopo 18 mesi come
risultato dallo studio APPROVe. Affermano che i loro risultati non sostengono l'ipotesi
che la tossicità cardiovascolare del rofecoxib sia dose-dipendente (ricordiamo che la
somministrazione di 50 mg/die era stata limitata a 5 giorni). Ancor più grave il sospetto
avanzato dagli autori che non ci sia stata una corretta classificazione degli eventi
avversi quando il comitato di verifica non era indipendente. Ancora, per gli autori
l'effetto cardioprotettivo del naprossene se c'era era piccolo e non sufficiente a
spiegare completamente i risultati del VIGOR. sempre secondo gli autori le metanalisi
condotte finora, che non avevano rilevato un rischio del rofecoxib rispetto ai FANS
diversi dal naprossene o rispetto al placebo, sarebbero viziate dal fatto di aver
considerato un end point composito oppure da un'inadeguata composizione del pool di
pazienti da ottoporre alle metanalisi. Addirittura, e questo è davvero singolare,
sostengono che il concetto della superiorità delle metanalisi di pazienti sulle
metanalisi di studi debba essere rivisto alla luce dei loro risultati. Di particolare
interesse è il fatto che gli autori non hanno trovato un aumento significativo di ictus
(che è stato poi il motivo del ritiro). Gli autori sostengono inoltre che i trials su
rofecoxib sono stati condotti su popolazioni a basso rischio di malattie cardiovascolari,
mentre nella pratica questa molecola è largamente usata da soggetti ad alto rischio.
Pertanto, facendo riferimento ai dati del Tenessee, il rischio di un infarto ogni 556
pazienti riscontrato nei trials diventerebbe uno ogni 70 nella popolazione che ha assunto
nella pratica clinica il farmaco. Gli autori concludono accusando sia la Merck che la FDA
di aver tardato a ritirarare/sospendere il farmaco.
La risposta non si è fatta attendere. La Merck ha prontamente replicato pubblicando sul
suo sito internet una serie di valutazioni che smontano i risultati dello studio di Juni e
collaboratori bollato come metodologicamente inadeguato e incompleto di alcuni importanti
dati che porterebbero a conclusioni assai diverse.
http://www.merck.com/statement_2004_1105/lancet.pdf
La Merck accusa gli autori di aver compiuto il classico errore di sommare le pere alle
mele. Infatti sarebbe stato usato un test statistico inadeguato ad escludere che tra
Naprossene e gli altri FANS di comparazione sussistessero differenze per quanto attiene
l'incidenza di infarto miocardico. Quindi proprio per aver usato un test inadeguato gli
autori avrebbero erroneamente concluso che la frutta fosse tutta composta da mele invece,
secondo la Merck, usando un test statistico adeguato come l'analisi del rischio
proporzionale ci Cox su dati cumulativi di pazienti e non di studi, sarebbe chiara la
differenza tra naprossene ed altri FANS e quindi sarebbe scorretto mescolare tutto e da
questo trarre le conclusioni. La Merck fa inoltre notare che Juni e coll. non avrebbero
considerato tutti i dati disponibili, omettendo (volontariamente?) i risultati dello
studio del rofecoxib che è stato comparato con placebo nell'Alzheimer.
http://www.fda.gov/ohrms/dockets/ac/01/briefing/3677b2_01_merck.pdf
In questo studio 2000 pazienti sono stati trattati con rofecoxib o placebo per un anno e
si sono verificati 9 infarti nel gruppo rofecoxib e 12 nel gruppo placebo. Da notare che
questi dati sono stati disponibili dopo quelli del VIGOR. Pertanto la Merck conclude che
nonostante che anche i dati dello studio di Juni e coll. dimostrino che non c'è
differenza tra rofecoxib e placebo o tra rofecoxib e FANS diversi dal naprossene per
quanto concerne l'incidenza di infarto e che le uniche differenze emergano solo nel
confronto con il naprossene, tuttavia, si sia
proceduto a mettere insieme dati non omogenei arrivando pertanto ad una conclusione basata
su un metodo scientificamente inappropriato.
La Merck ribadisce che solo dopo 18 mesi di assunzione del rofecoxib, per la prima volta
è emersa nello studio APPROVe una differenza significativa con il placebo e che da quando
ciò è stato appreso la Merck ha impiegato una sola settimana a decidere il ritiro dal
mercato.
Queste argomentazioni non mancheranno di destare l'interesse dei legali che da una parte e
dall'altra si stanno preparando alla class action multimilardaria. Ma un'altra notizia
rialimenta le speranze dei fautori dei coxib allontanando il sospetto che la tossicità
cardiovascolare sia un effetto di classe.
Come è noto alcuni editoriali, anticipati con enfasi sul NEJM avevano adombrato, senza
tanti complimenti, il sospetto che la tossicità del rofecoxib fosse in realtà dovuta ad
un effetto di classe in quanto l'inibizione selettiva della COX2 sposterebbe la bilancia
tra trombossano e prostaciclina provocando un rischio maggiore di trombosi. Altri autori
avevano sollevato dubbi su questa ipotesi sostenendo che molti dati di studi clinici
pubblicati non supportano affatto una tale interpretrazione. Adesso è stato pubblicato su
Atherosclerosis 2004, 177: 235-243 un articolo nel quale si sostiene che solo il rofecoxib
ha una struttura molecolare (sulfone) tale da ossidare le LDL e inibisce l'attività
antiossidante naturale del plasma, mentre altri coxib (come celecoxib, valdecoxib) o FANS
non eserciterebbero questo effetto. Consci dell'importanza dei risultati gli autori hanno
voluto che i loro risultati fossero controllati da un laboratorio indipendente della Tuft
University. Sembra che gli autori non abbianmo ricevuto incarichi o grants per questo
studio che avrebbero condotto in modo indipendente.
Ma.. tanto tuonò che piovve... La FDA ha deciso di affidare ad un'Istituto di Medicina un
programma per valutare il proprio metodo di lavoro circa i farmaci e per selezionare ed
aggregare dati provenienti da revisori scientifici esterni alla FDA da sottoporre alla FDA
medesima. Insomma la FDA si mette in discussione....